Fiat, nessuna chiusura in Italia ma tutti i target rivisti al ribasso

by Sergio Segio | 31 Ottobre 2012 5:59

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TORINO — I conti vanno meglio delle previsioni ma sale l’indebitamento e l’Europa piange. Dunque, il titolo crolla. La Borsa non sembra apprezzare nemmeno l’impegno di Marchionne a non chiudere alcun stabilimento in Italia. Non sono questi gli annunci che si attende Piazza Affari. In serata ai sindacati l’ad del Lingotto conferma «la scelta di mantenere inalterata la capacità  produttiva in Italia e la propria intenzione di non operare tagli strutturali del personale». Nei prossimi tre anni, aggiunge Marchionne agli analisti, la Fiat proverà  a cambiare pelle. E a trasformarsi da produttore di utilitarie in produttore globale focalizzato sui modelli che garantiscono margini maggiori, come le auto e i Suv di gamma medio alta con marchi di prestigio come Maserati e Alfa Romeo. Quei modelli che, grazie alla trattativa in corso con il governo sulle agevolazioni all’esportazione, la Fiat conta di realizzare in Europa e vendere oltreoceano.
Per ottenere il risultato, il Lingotto ridisegna la mappa delle produzioni nei quattro stabilimenti italiani rimasti. Entro il 2016 verranno realizzati 17 modelli. Ma alcune missioni muteranno. I due piccoli Suv di segmento B che dovevano essere realizzati a Mirafiori entro fine 2013 migrano a Melfi dove verranno prodotti insieme alla Punto. A Torino vengono confermati i due modelli Maserati costruiti nello stabilimento ex Bertone di Grugliasco e a Mirafiori è previsto l’arrivo di «una famiglia di vetture di alta gamma», tra le quali pare ci sia un grande Suv. Cassino lavorerà  invece su «una piattaforma già  definita e condivisa con Chrysler». Probabilmente la stessa su cui verrà  realizzata la Giulia, il modello con cui l’Alfa sbarcherà  negli Usa. Al termine del comunicato del Lingotto non manca il passaggio ideologico contro la Cgil che lavorerebbe addirittura «contro gli interessi del Paese».
Nel cambio di pelle verso una Fiat più orientata al lusso è prevista la morte progressiva di un marchio storico e glamour come la Lancia: «Ha un appeal limitato soprattutto all’estero», spiega Marchionne agli analisti annunciando che per questo verrà  «ridimensionato o eliminato» con l’eccezione della Ypsilon (prodotta in Polonia) che continua ad avere «una buona accoglienza». Mentre l’ad spiega la sua strategia agli analisti, in Borsa il titolo perde il 4,6 per cento e scende sotto la quota psicologica dei 4 euro. Eppure con ricavi superiori ai 20 miliardi e un utile della gestione ordinaria di 951 milioni, il gruppo del Lingotto dimostra di aver superato nel terzo trimestre le stesse previsioni degli osservatori. A spaventare Piazza Affari è l’indebitamento che in tre mesi è passato da 5,4 a 6,7 miliardi. Segno delle difficoltà  di un gruppo economicamente schizofrenico che guadagna molto oltreatlantico e perde molto (800 milioni in nove mesi) sulla sponda europea. Forse perché Fiat è quotata a Milano e non a New York, la Borsa tende a sottolineare di più i dolori europei delle gioie americane.
E’ un fatto che il Lingotto ha confermato ieri tutti i target del 2012 («un fatto per noi importante », ha detto l’ad) ma lo ha fatto mantenendosi sulla parte bassa della forchetta: ricavi per 83 miliardi, utile netto a 1,2 e indebitamento sostanzialmente invariato a 6,5 miliardi. Soprattutto Marchionne ha abbassato le previsioni al 2014: la crisi proseguirà  e il gruppo, compresa Chrysler, venderà  tra due anni 4,8 milioni di auto contro i 6 milioni previsti. Al termine della giornata Marchionne incassa  l’apprezzamento dei sindacati che hanno firmato gli accordi: «C’è un impegno a non chiudere stabilimenti e a investire in Italia», osserva Raffaele Bonanni. Sarebbe stato proprio il segretario della Cisl a spingere perché a Mirafiori venisse destinato un modello di gamma alta in sostituzione del Suv che migra a Melfi. Critico il giudizio della Fiom, che ieri ha organizzato una manifestazione di protesta al Lingotto: «Gli impegni di Marchionne sono generici, senza date – dice Giorgio Airaudo -. Più che a un piano economico somigliano ad un oroscopo».

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