Fact checking e elezioni USA: chi è il bugiardo?

by Sergio Segio | 23 Ottobre 2012 5:52

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Entrambi i partiti si accusano a vicenda di utilizzare costantemente fatti e cifre a proprio uso. Dati quali, ad esempio, il tasso di disoccupazione o il livello del debito pubblico hanno sempre avuto un ruolo importante nell’influenzare l’orientamento degli elettori statunitensi; soprattutto gli indecisi, il cui peso finale, si sa, è determinante. Se c’è un merito dei dibattiti presidenziali e, più in generale, delle campagne elettorali secondo il modello americano è proprio quello di portare alla ribalta l’attività  dei fact checkers, cioè di quelle persone incaricate di controllare l’accuratezza delle affermazioni e delle cifre citate dai politici nel corso dei dibattiti e dei discorsi in pubblico.

Anche durante questa campagna elettorale dati, cifre e fatti hanno ricoperto un ruolo centrale. La maggiore polemica è stata quella innescata dall’articolo di Niall Ferguson pubblicato su Newsweek[1] e interamente costruito su una serie di dati falsi o, quantomeno, molto controversi. Il partito Democratico, in particolare, accusa i rivali Repubblicani di utilizzare dati falsi per depistare gli elettori. Queste polemiche riguardano ogni tipo di affermazioni, da quelle di interesse pubblico a quelle, per così dire, legate alla sfera privata. Esemplare in questo secondo ambito il caso del candidato vice-presidente repubblicano Paul Ryan, che nel corso di un’intervista dichiarò di aver corso una maratona in meno di tre ore. In realtà  ne aveva impiegate quattro e oltre, come fu appurato dai fact checkers. La credibilità  di Paul Ryan ne uscì piuttosto malconcia. Non è un caso che alla convention democratica di settembre uno dei passaggi di maggior successo del discorso di Bill Clinton è stato proprio quello relativo all’incapacità  dei Repubblicani di farsi dettare l’agenda dai fact checkers.

Negli Stati Uniti il lavoro di fact checking è un’attività  molto più diffusa di quanto non lo sia in Italia, tanto che quasi tutti i principali organi di informazioni americani, da FoxNews al Time, hanno ormai un settore fact checking. Quello del Washington Post, uno dei più famosi e organizzati, assegna perfino i voti ai politici sulla base dell’accuratezza delle rispettive affermazioni, valutandoli da uno a quattro “Pinocchios”. Alcuni dei principali siti di fact checking, come ad esempio factcheck.org e politifact.com, sono gestiti da NGO e associazioni di cittadini indipendenti. Il lavoro di factchecking viene spesso compiuto in tempi veloci: durante l’ultimo dibattito presidenziale molti media offrivano un fact checking delle affermazioni in tempo quasi reale attraverso twitter.

È quasi superfluo sottolineare che questo tipo di attività  sarebbe straordinariamente utile se applicata alla politica italiana, i cui protagonisti sono abituati a snocciolare con disinvoltura dati e storie che spesso non hanno alcun riscontro con la realtà . Come scrive Luca De Biase, uno dei pochi che si stanno impegnano a portare avanti questa causa[2], “Questo genere di operazioni si fonda sulla convinzione che la maggior parte dell’effetto si ottiene con un titolo o un tweet e che sono ben poche le persone che vanno davvero a controllare se quanto è stato detto è verificabile”. Pratiche quali la manipolazione sistematica delle cifre a proprio uso e costume e la costante negazione dell’evidenza erano, fino agli anni Novanta, pratiche limitate, usate con relativa prudenza e comunque solo all’occorrenza. Al contrario, il modello promosso dai partiti che vinsero le elezioni nel 1994 stravolse queste dinamiche: da allora, molti politici si accorse che realtà  è effettivamente modificabile, a patto di mostrarsi convinti e sicuri nelle proprie argomentazioni, a prescindere dai fatti. Questo modello di comunicazione politica ha trasformato abitudini un tempo relativamente marginali in prassi consolidate e utilizzate con spudorata sfacciataggine da moltissimi attori politici e non solo. Anche nel campo del giornalismo, infatti, negli ultimi anni ha preso campo l’abitudine a pubblicare scoop e inchieste prima ancora di svolgere ogni tipo di controllo sull’affidabilità  delle fonti e la veridicità  dei fatti stessi. Che, infatti, si sono talvolta rivelati essere completamente falsi. In questo senso, ha senz’altro una buona parte di ragione Luca De Biase quando dce che[3] “una delle grandi riforme della politica della quale abbiamo bisogno è che almeno un poco del discorso politico sia basato su fatti documentati, ottenuti con un metodo condiviso”. De Biase ha recentemente provato a proporre un progetto di fact sharing sociale[4] basato sul contributo di tutti i cittadini o, se non altro, dei cittadini digitalizzati. Civiclinks, questa originale iniziativa, si è presentata come una grossa novità , ma non ha ancora riscontrato l’interesse che alcuni speravano.

Il problema, in effetti, è che un controllo oggettivo dei fatti politici rappresenta un compito piuttosto intricato. Se, infatti, il tempo in cui si è corsa una maratona rappresenta un dato incontestabile, molti indicatori economici e sociali sono ampiamente interpretabili. Torniamo per un attimo all’articolo di Ferguson: i dati in esso contenuti non erano falsi in sé (non tutti, per lo meno), ma erano interpretati in modo tale da risultare fuorvianti. Molti politici italiani sono avvezzi a questi trucchi. Fino a pochi anni fa Silvio Berlusconi si vantava del fatto che sotto il suo governo il tasso di disoccupazione in molte regioni del sud Italia era calato. Questa affermazione era veritiera. E tuttavia il tasso di disoccupazione era in ribasso per via della crescita del numero di giovani talmente rassegnati da essere costretti a emigrare altrove, rendendo cosi più favorevole il rapporto tra il numero di persone in cerca di lavoro e il totale della popolazione, ovvero, per l’appunto, il tasso di disoccupazione. Insomma: il lavoro dei fact checker è complesso e richiede un notevole dispendio di tempo. Non si tratta, in altre parole, di un’attività  che si può facilmente improvvisare: sono necessarie una preparazione e una professionalità  verso le quali, per adesso, in Italia non si presta ancora una sufficiente attenzione.

Lorenzo Piccoli[5]

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Endnotes:
  1. dall’articolo di Niall Ferguson pubblicato su Newsweek: http://www.unimondo.org/Notizie/I-media-il-presidente-e-il-professore-una-storia-americana-136670
  2. uno dei pochi che si stanno impegnano a portare avanti questa causa: http://blog.debiase.com/2012/01/fact-checking-lunga-battaglia/
  3. quando dce che: http://blog.debiase.com/2012/09/se-la-politica-non-vuol-farsi-dettare-il-programma-dal-factchecking-frame-agenda-setting-informazione-civica/
  4. un progetto di fact sharing sociale: https://factchecking.civiclinks.it/en/
  5. Lorenzo Piccoli: http://www.unimondo.org/content/search?SearchWhere=unimondo&SubTreeArray=1867&SearchText=lorenzo+piccoli

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