Enzo Tortora, vittima di giudici e stampa
Tortora era il pesce grosso, finito dentro la loro inchiesta sui traffici di droga. Non volevano farselo scappare. Per questo presero per oro colato qualsiasi pentito (perfino Barra!). Per questo non controllarono neppure il nome e il numero, su quell’agendina telefonica, salvo poi accorgersi che non si trattava di Tortora ma di Tortona. Questa vicenda fu una delle pagine più oscure della nostra storia giudiziaria. Giusto raccontarla, come fa la fiction della Rai, a chi per ragioni di età , non l’ha potuta conoscere.
Ma c’è un secondo aspetto, al quale in trenta anni si è sempre dedicata minore attenzione. E sono le vergogne che riguardarono il nostro mestiere, che coinvolgono anche vasti settori del giornalismo. I giornali riportarono le notizie che uscivano dall’inchiesta? No, non è così. Ci furono articoli, titoli, commenti, velenosi, odiosi, che coprirono Enzo Tortora di disprezzo, che lo condannarono subito, dipingendolo come un bellimbusto, famoso e camorrista. Quegli articoli e quei titoli vennero subito dimenticati, perfino quando Tortora (in appello) fu poi assolto. Perfino quando morì di cancro dopo aver vinto la sua battaglia ed essere tornato in tv, la sera del famoso: «Dove eravamo rimasti?».
Uno dei pochi aspetti positivi di quel dramma fu la decisione di non pubblicare più foto di persone arrestate con le manette ai polsi. I giornalisti ammisero che era un’umiliazione intollerabile per chi non era stato ancora giudicato (e forse anche per un essere umano condannato). Ma per i giornalisti italiani discutere di Tortora, seriamente, significa oggi discutere del modo di fare cronaca. E’ forse cambiato? O è lo stesso? Dopo tanti anni, se uno legge e ascolta i resoconti della maggior parte dei cronisti trova una tecnica giornalistica non molto distante. Si prendono per buone le accuse; si fanno titoli nei quali l’accusato sembra colpevole; si dimentica che la giustizia, di fronte a quell’essere umano caduto in trappola, deve ancora fare il proprio corso.
È vero. In mezzo c’è stata una riforma del codice di procedura penale che offre maggiori strumenti alla difesa. Ma i pubblici ministeri sono ancora le fonti principali dei giornali e la presunzione di innocenza è solo un principio scritto solennemente nella Costituzione. I giornalisti si sono dati alcune regole deontologiche, ma è altrettanto evidente che le cronache di oggi somigliano ancora troppo a quelle di allora. Per questo dobbiamo e vogliamo ricordare Enzo Tortora.
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