Draghi: l’Eurozona migliora (un po’) Grilli: non abbiamo bisogno di aiuti
TOKYO — La crescita del mondo è rallentata. E su questo a Tokyo, dove ieri si è chiusa l’assemblea del Fondo monetario, sono tutti d’accordo. «Rimangono sostanziali incertezze e rischi verso il basso» aggiunge il comunicato finale dei lavori evidenziando l’affanno dell’economia mondiale. Ma c’è chi, come il presidente della Bce, Mario Draghi, è pronto a cogliere i possibili segnali positivi di cambiamento. Soprattutto se riguardano, come in questo caso, l’Europa che resta al centro della crisi ma non è più, come ha detto il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, l’unica causa del rallentamento dello sviluppo. L’economia dell’eurozona «resta debole» ma ci sono segnali che giustificano un «prudente ottimismo», ha detto Draghi. Il quale certo non nasconde la gravità della situazione testimoniata dalla crescita zero e sotto zero della prima parte dell’anno. La ripresa «avverrà solo nel 2013 e sarà lenta e faticosa», ha riconosciuto. Ma il suo «prudente ottimismo», ha spiegato, è giustificato da cinque motivi il primo dei quali risiede nei passi avanti fatti dai paesi più in difficoltà per risanare i conti pubblici. E poi le banche europee hanno resistito alla crisi riuscendo a raccogliere 200 miliardi di euro di capitali freschi, anche se, la situazione «è molto diversa» da paese a paese. In terzo luogo ci sono gli «enormi» progressi nella riforma della governance europea.
Draghi ha citato il progetto per la creazione della vigilanza comune in capo ad Eurotower che dovrebbe partire formalmente il primo gennaio 2013, ma diventare operativa almeno un anno dopo. Quindi c’è la minor volatilità dei mercati finanziari, grazie anche all’azione della Bce stessa ed infine il riequilibrio dei conti con l’estero dei paesi più deboli. Restano da risolvere il caso della Grecia, ancora impantanata nella crisi, e la vicenda della Spagna col salvataggio delle sue banche. A Madrid si guarda – e se ne è discusso seppure informalmente anche a Tokyo – per la richiesta di aiuti al Fondo salva-Stati e quindi alla Bce.
Non si guarda invece all’Italia che non è più al centro delle preoccupazioni del G7 o del Fmi. «Noi non abbiamo il fiscal gap che hanno altri paesi con il deficit al 5% o al 10%. Abbiamo un bilancio in pareggio strutturale. Non ci servono fondi. E se non ci servono fondi perché chiederli?», ha affermato il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli nella conferenza stampa al termine dei lavori del Fmi. Secondo Grilli comunque «la via delle riforme è obbligata». Anche perché «si stima che la recessione toccherà il fondo nei primi tre mesi del 2013» dopo di che si tornerà a crescere ma «ad un ritmo moderato per il resto dell’anno» ed il «principale stimolo arriverà da export e investimenti». «Tutti i segnali confermano che ci sono le condizioni necessarie perché ci sia questa ripresa» in Italia nel 2013, «ma probabilmente sarà debole», ha aggiunto Visco il quale sulla legge di stabilità appena varata dal governo ha affermato che «sul piano della redistribuzione e dell’attenzione alla dimensione sociale, va nella giusta direzione».
Le analisi fatte dagli economisti del Fondo sono meno fiduciose di quelle del presidente della Bce che del resto può basarsi sul miglioramento dei mercati finanziari per le sue valutazioni e previsioni. E non c’è dubbio che la tempesta sui debiti sovrani dei paesi più deboli della moneta unica si sia placata, marcando la differenza con lo scorso anno. Diversamente, se si guarda alla crescita della disoccupazione e al rallentamento dei ritmi di sviluppo delle economie-locomotiva, come fa il Fondo, il punto di vista diventa più negativo. E così Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, insiste sulla necessità che i paesi industrializzati abbassino deficit e debito, ostacolo alla crescita e il comunicato finale dei lavori dell’Assemblea riassume- e ci dedica dieci pagine – le misure che tutti i paesi dovranno mettere in atto nei prossimi sei mesi con l’impegno a verificarne l’adozione negli incontri primaverili di Washington.
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