Donne in fuga dalla Cina per aggirare la politica del figlio unico
Giro di vite. Il capo dell’esecutivo di Hong Kong ha annunciato una nuova politica di tolleranza zero per le donne «non residenti» che vengono nell’ex colonia a partorire promettendo pene detentive per chi le aiuta ad entrare illegalmente
Dopo anni di tensione fra donne di Hong Kong incapaci di trovare un letto d’ospedale per partorire, e cinesi incinte che attraversano la frontiera che separa la Regione amministrativa speciale dal resto della Cina per sfuggire alla politica del figlio unico e dare alla luce un bambino con la cittadinanza di Hong Kong, si è arrivati a questo: 420 donne cinesi incinte arrestate in un anno e incarcerate per due mesi subito dopo il parto. Molti neonati hanno passato i primi due mesi di vita dietro le sbarre con loro per potere essere allattati, e nello stesso arco di tempo altre 3500 cinesi incinte sono state invece respinte alla frontiera.
Si tratta di uno dei problemi più spinosi emersi negli ultimi quindici anni, segnati dalla difficile transizione di Hong Kong, tornata sotto sovranità cinese nel 1997 dopo un secolo e mezzo come colonia britannica.
La fine del colonialismo non ha coinciso con l’autonomia, e una città prospera, di sette milioni di abitanti, con libertà di stampa e un sistema semi-democratico si è ritrovata sotto un colosso a partito unico abitato da 1,3 miliardi di persone. Certi giorni, si ha l’impressione che ognuno di loro voglia venire ad Hong Kong: i turisti cinesi lo scorso anno ammontavano a 28 milioni, dimostrandosi un peso difficile da sostenere per le infrastrutture locali.
Mentre il governo di Pechino mantiene strette misure anti-speculative sul mercato immobiliare nazionale, ecco che quello di Hong Kong, finora privo di restrizioni, è divenuto il più caro al mondo, con il 46% dei nuovi immobili acquistato da cinesi «del continente».
Il flusso di persone interessate a spostarsi qui, approfittando delle maggiori libertà e dell’alto tenore di vita, è imponente e la reazione è ormai aspra, portando alla recente nascita di gruppi «indipendentisti», infuriati dall’«invasione» cinese che produce scarsità di alloggi, di letti d’ospedale e perfino di latte in polvere (contrabbandato oltre frontiera per ovviare al problema del latte contraffatto in Cina). Ma il premio più ambito resta quello della cittadinanza per i figli, divenuta una delle ossessioni di migliaia di coppie cinesi in attesa di diventare genitori, e di migliaia di altri che, pur avendo già un figlio, ne desiderano altri, malgrado i limiti imposti dal governo di Pechino.
Degli 88 mila bambini nati a Hong Kong lo scorso anno la metà è figlia di donne cinesi non residenti, spesso arrivate alla frontiera agli ultimi mesi di gravidanza, sulle quali i reparti maternità degli ospedali non hanno alcun dato medico.
Così, la crescente tensione fra gli abitanti di Hong Kong e i loro cugini «continentali» ha portato il Capo dell’esecutivo, Leung Chun-ying, ad annunciare una nuova politica di «tolleranza zero» per le donne non residenti o non sposate con un residente che vogliono venire a partorire a Hong Kong, promettendo pene detentive più severe tanto per loro che per chi le aiuta ad arrivare illegalmente oltre frontiera. Ad accompagnarle qui infatti, è una rete di associazioni che appronta pacchetti tutto-compreso, con documenti falsi, se servono, e prenotazioni ospedaliere, e miniappartamenti dove nascondere il pancione in caso di ronde poliziesche.
Per affrontare anche quest’ultima possibilità , dalla settimana scorsa l’immigrazione di Hong Kong incoraggia anche la delazione di donne incinte presenti sul territorio che si sospetta non abbiano il permesso di residenza: una dimostrazione stridente di come il concetto di «un Paese due sistemi» inventato per governare Hong Kong presenti difficoltà che nessuno aveva previsto, con conclusioni aberranti come le 420 puerpere incarcerate.
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