Contratti a termine verso la correzione Vertice tra le imprese

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Prima della riforma gli intervalli che il datore di lavoro doveva rispettare erano molto più brevi: 10 e 20 giorni. Parlando ieri a un convegno a Modena è stato lo stesso ministro del Lavoro a dire che, in particolare, il limite dei tre mesi «sta creando qualche problema: me ne rendo conto, sto ricevendo molte lettere e quindi studieremo qualche altra soluzione». L’allungamento dell’intervallo tra un contratto temporaneo e l’altro era stato presentato dal governo come uno strumento utile a combattere l’abuso di questo tipo di rapporti di lavoro e quindi il precariato. Ma da subito i contrari avevano sottolineato il rischio che la norma avrebbe limitato le occasioni di lavoro e favorito il nero.
È così cominciato un braccio di ferro tra Fornero e le imprese. Il ministro ha annunciato un monitoraggio sulla riforma in collaborazione con le imprese e, anche ieri, rispondendo indirettamente al presidente della Confindustria Giorgio Squinzi che più volte ha chiesto di rivedere profondamente la legge 92, ha affermato che «la disponibilità  a discutere punto per punto è massima». Ma la riforma «non si smantella», ha avvertito. L’offensiva contro la legge è comunque forte, unendo le imprese e il Pdl, che ieri con l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, è tornato a sostenere che la riforma «sta producendo una minore propensione ad assumere o a confermare rapporti di lavoro a termine».
Con ieri, intanto, siamo entrati in una settimana decisiva per l’accordo sulla produttività  chiesto dal governo alle parti sociali. Il presidente del Consiglio spinge per un’intesa prima del consiglio europeo del 18 ottobre. Obiettivo: riformare il sistema contrattuale, eliminando ogni meccanismo automatico di aumento della retribuzione nel contratto nazionale (attualmente si tratta dell’adeguamento all’Ipca, cioè all’inflazione prevista depurata della componente energetica importata) per trasferire il più possibile la componente salariale sul contratto decentrato, legandola alla produttività . Ieri i sindacati hanno incontrato Rete Imprese Italia (artigiani e commercianti). Oggi alle 18 appuntamento tra Confindustria e tutte le altre associazioni imprenditoriali per tentare di stendere una proposta comune da sottoporre domani agli stessi sindacati nell’incontro fissato per le 20.
Squinzi continua a essere ottimista: «È un momento storico per l’intesa. Mi auguro che prevalga il buon senso». E chiede al governo di fare la sua parte, aumentando la detassazione del salario aziendale e intervenendo sulla pubblica amministrazione, «palla al piede dell’Italia». Anche il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, crede nell’accordo: «Ci sono margini». Frena invece la leader della Cgi, Susanna Camusso: «Parlare di tavolo sulla produttività  è una parola grossa». Qual è il vero ostacolo per i sindacati lo spiega con chiarezza il numero uno della Uil, Luigi Angeletti: «È escluso che si possano abbassare i salari in maniera surrettizia o esplicita». E uno degli sherpa della trattativa confessa: «Il problema è che ci chiedono di rinunciare a quote di salario nel contratto nazionale che poi dovremmo recuperare a livello aziendale o territoriale, ma è quel “dovremmo” che non funziona».


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