by Sergio Segio | 28 Ottobre 2012 15:03
Non fidatevi troppo dei molti articoli che vi capiterà di leggere in questi giorni sulla vigilia del XVIII Congresso del Partito comunista cinese: neanche di questo che avete appena cominciato. Osservatori ed esperti di cose cinesi, più o meno in buona fede, più o meno informati, si affanneranno a interpretare per voi le poche notizie che ci arrivano, la mimica facciale dei leader e il posto in cui si siedono, il numero di loro parole riportate dalla stampa, il significato di teorie dai nomi poetici come «le tre rappresentanze», lo «sviluppo scientifico» o «la società armoniosa».
Queste cose succedono anche negli Stati Uniti o in Francia o da noi. Ma intanto si accompagnano a discorsi più o meno franchi, che esprimono, spesso polemicamente, idee diverse. In Cina è diverso. Mettendo insieme le diverse dinastie, e accogliendo la cronologia tradizionale, l’impero unificato nacque nel 221 a.C. e finì di esistere nel 1911, poco più di un secolo fa. In tutto questo periodo di più di due millenni, il centro del potere politico sono stati i palazzi imperiali. La classe dirigente cinese, quella dei burocrati-mandarini piacque ai gesuiti, e dietro di loro agli illuministi perché nasceva da una carriera fondata su lunghi studi, e non sull’ereditare un feudo o altre ricchezze. Finché si scoprì che studiare e fare esami su esami costava tanto che solo (o quasi solo) i figli dei mandarini potevano permetterselo. In questo secolo, la Cina è stata attraversata da una rivoluzione che le è costata decine di milioni di morti e che ha portato a indubbie trasformazioni. Ma la grande politica è sempre quella, anche se l’imperatore si chiama presidente (o meglio ancora Partito) e i mandarini sono segretari di partito, ministri o dirigenti di grandi aziende. Sono loro, esattamente come i mandarini di un tempo, a poter mandare i loro figli a studiare nelle migliori università , per lo più a Harvard o a Cambridge. E sono loro, in un numero sempre più piccolo di mano in mano che la piramide gerarchica si assottiglia verso l’alto, a prendere le grandi decisioni che interessano tutta la Cina, nel mistero e nei segreti. Poi, le decisioni prese vengono comunicate dal Partito al governo e all’Assemblea popolare nazionale che si riunisce una volta all’anno, finzioni di un vero governo e di un vero parlamento. Vengono comunicate anche dal vertice del Partito al Congresso, che le ratifica.
Un esempio? Il XVIII Congresso, che si aprirà l’8 novembre, eleggerà il nuovo Segretario, che sarà poi anche il nuovo Presidente della Repubblica popolare cinese al posto di Hu Jintao. Ebbene, si sa già da qualche anno che questo nuovo Segretario-Presidente (nonché futuro Presidente della potente Commissione militare centrale) sarà Xi Jinping. Così come si sa che a succedere nella carica di primo ministro a Wen Jiabao sarà Li Keqiang. Con essi si attuerà il passaggio ufficiale dalla quarta alla quinta generazione della leadership politica cinese. Ma si sa già che il passaggio alla generazione successiva, la sesta, avverrà al XX Congresso, nel 2022, con l’elezione di leader nati fra il 1960 e il ’67: circola già qualche nome!
Questo accento sulle generazioni fa capire qualcosa dell’idea (confuciana) della «società armoniosa»: si suppone che i membri di una generazione siano tra loro solidali. In realtà , a ben guardare, lo sono come una catena di persone che si muovano in una sorta di girotondo. Ognuno è legato a tutti gli altri: non per solidarietà , però, ma per ricatto reciproco. Nessuno ha le mani libere, e tutti sono controllati dagli altri. È il criterio con cui avviene non solo il passaggio di generazioni, ma anche il compromesso tra idee e interessi diversi ai vertici del Partito. Il vecchio Jiang Zemin, per esempio, non fa parte del Comitato permanente dell’attuale Ufficio politico, ma esercita ancora dal di fuori una grande influenza.
DESTRA E SINISTRA
In una situazione come questa, parlare di destra e sinistra è del tutto fuori luogo. Da sempre, in Cina nessuno vuol essere di destra, e rovescia l’accusa sugli altri. Così, uno può essere rivoluzionario perché difende i diritti dei contadini espropriati e costretti ad andare a lavorare in fabbrica, o perché si batte per la difesa dell’ambiente, e conservatore perché in nome dei diritti dei contadini sacrificati e dell’ambiente si oppone a una crescita economica eccessivamente rapida e squilibrata. Oppure può essere rivoluzionario perché combatte la corruzione e il nepotismo (quanto mai diffusi), conservatore perché affida tale lotta solo a strumenti polizieschi. E così via. Il caso Bo Xilai (corrotto anti-corruzione, populista, giustizialista per usare un termine tipicamente italiano strumentalmente dedito a far rivivere pratiche, canzoni, slogan del maoismo) è stato una specie di antologia di queste contraddizioni.
Il XVIII Congresso si occuperà di crescita economica (meglio, del suo rallentamento, che preoccupa molto), di ambiente, forse di dissenso e di diritti umani (il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo è in galera da quasi quattro anni, e molti altri dissidenti come lui), di rapporto tra agricoltura e industria, di progetti energetici, di controllo navale dei mari e di altre questioni militari. In realtà , dietro tutti questi problemi il Congresso ne avrà in mente uno e uno solo: come conservare il potere, in un momento da tutti giudicato difficile, nel quale le proteste operaie, sociali in genere, ambientali ecc. si moltiplicano, invano occultate dalla censura o da una politica estera nazionalista e aggressiva.
Negli ultimi mesi si è avuta l’impressione di uno scontro dietro le mura ben protette di Zhongnanhai, l’erede moderno e comunista della Città proibita, tra fautori di una continuazione e accelerazione delle riforme economiche e nostalgici dello statalismo. Più altri conflitti. Ci sono state, per esempio, ampie discussioni sulla composizione della Commissione militare centrale, con una tendenza a quanto sembra abbastanza forte a riportare le forze armate sotto il controllo del Partito. Ci sono stati segnali di una maggiore decisione di una parte del gruppo dirigente nel provare a liberarsi di quell’autentico cadavere nell’armadio che è la figura di Mao. Lo hanno testimoniato sia la vicenda di Bo Xilai, sia l’assenza del nome di Mao da un importante documento del Politburo pubblicato negli ultimi giorni in previsione di un emendamento della Costituzione da parte del Congresso: scomparirebbero pare dall’elenco dei fondamenti del pensiero ufficiale, il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao. Ha destato ancora più sensazione la notizia apparsa su una rivista di Hong Kong generalmente ben informata, secondo cui il corpo imbalsamato di Mao lascerebbe la Tienanmen per essere trasferito a Jinggangshan, una località tra le più gloriose nella storia dell’Armata rossa. Il Mausoleo di Mao diventerebbe invece un Memoriale degli eroi del Popolo. Questo nuovo capitolo della storia della demaoizzazione promette comunque non poche scintille, perché il fantasma di Mao è, sì, un cadavere nell’armadio, ma anche una polizza di assicurazione in un paese che non ha fatto del tutto i conti con il passato.
I Congressi del Partito comunista cinese, a partire da quello di fondazione del 1921, sono stati finora 17. Al prossimo parteciperanno 2.270 delegati. Il Congresso elegge un Comitato centrale che è costituito all’incirca da 350 membri tra effettivi e supplenti. Il Comitato centrale elegge l’Ufficio politico, costituito mediamente da 20-25 membri. A sua volta l’Ufficio politico elegge un Comitato permanente, i cui membri a partire dal 1956 hanno conosciuto variazioni nel numero, fra 5 e 9. L’Ufficio politico, noto anche come Politburo, si riunisce una volta al mese, mentre il suo Comitato permanente si riunisce mediamente una volta alla settimana. Si può dire che il Comitato permanente rappresenti il cuore del potere cinese. Attualmente fanno parte del Comitato permanente 9 membri, ma da mesi si parla nei corridoi della possibilità che vengano ridotti a 7. Una curiosità abbastanza interessante è che quasi tutti i 9 membri attuali sono laureati in ingegneria, chi mineraria, chi elettronica, chi dei trasporti e così via. Questo tipo di decisioni dovrebbe accendere qualche luce sia pur timida sulle prospettive degli anni futuri e su chi ha vinto e chi ha perso.
Uno degli esercizi cui i pechinologi si dedicano più volentieri è quello di cercare di indovinare quali dei membri del Comitato permanente scadranno e da chi verranno sostituiti. I pechinologi si affannano a cercare nelle biografie dei vari leader (o in quanto ci è noto di esse, che non è molto) ogni più piccolo indizio che possa aiutare a capirne la collocazione politica e quindi anche il significato di una loro eventuale promozione. Per esempio, se è più amico di Jiang Zemin oppure di Hu Jintao, se è stato Segretario del Partito in una provincia o in una città molto importante, se ha occupato nel partito ruoli di grande rilievo come quelli di responsabile dell’organizzazione, della sicurezza, della propaganda, o della commissione di disciplina. O anche se ha rapporti importanti negli alti gradi dell’esercito. Ci sono poi dei raggruppamenti molto personali. Per esempio, l’attuale Presidente-Segretario Hu Jintao capeggia un gruppo assai potente che deriva politicamente dalla Gioventù comunista (e che con essa ha conservato intensi rapporti). Un altro gruppo decisamente forte è quello dei «principi rossi», cioè dei figli o comunque discendenti di grandi figure della storia del Partito, come il futuro Presidente Xi Jinping, figlio di un vice premier, o come Bo Xilai, al quale però non è servito l’essere figlio di Bo Yibo, veterano della Lunga marcia e uno degli «Otto immortali» del Partito.
Nel Comitato centrale, pur prevalendo di gran lunga gli uomini, ci sono anche alcune donne; nell’Ufficio politico ce n’è una sola, la donna più alta in grado del Pcc, la consigliera di Stato Liu Yandong, responsabile del Partito per la sanità e lo sport. Liu è molto legata all’attuale Presidente Hu Jintao e anche al suo successore designato; e persino in predicato (sarebbe una grande première) per entrare nel Comitato permanente. Nel quale sono in molti a ritenerlo sia che resti di 9 membri, sia che venga portato a 7, dovrebbero conservare il posto solo due degli attuali, e cioè il futuro Presidente-Segretario Xi Jinping e il futuro Premier Li Keqiang. Difficile che resti nel Comitato il Presidente attuale, Hu Jintao, anche se il suo predecessore Jiang Zemin partecipò a tre Comitati permanenti consecutivi, e anche se si prevede che Hu conservi un certo potere per qualche tempo (per esempio continuando a presiedere la Commissione militare).
Tra i favoriti per esordire nel Comitato permanente c’è innanzitutto Wang Yang, l’attuale Segretario del Partito nel Guangdong, la ricca provincia meridionale in cui si trovano Guangzhou (Canton) e Shenzhen. Wang, 57 anni, prima di entrare in questo ruolo nel 2007, era stato per due anni Segretario a Chongqing. È considerato un convinto sostenitore di una crescita economica fondata sull’economia di mercato e l’apertura alle nuove tecnologie. Potrebbe tutto al più nuocergli il suo essere fra coloro che più si sono sbilanciati in favore di questa linea.
Un altro personaggio di rilievo, con buone chances, è l’attuale Segretario del Partito a Chongqing, dove ha sostituito proprio quest’anno Bo Xilai caduto in disgrazia. Zhang Dejiang (questo è il suo nome) ha attualmente 66 anni. È stato Segretario del partito nel Guangdong subito prima di Wang Yang; prima ancora lo era stato nel Zhejiang. È anche vice premier, incaricato dell’energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti. È legato a Jiang Zemin, ma con una certa autonomia (in altri termini, non fa parte di quella che gli avversari chiamano «banda di Shanghai»).
HUEWEN
Aspira ad entrare nel Comitato permanente anche l’ingegnere elettronico Yu Zhengsheng, 67 anni, Segretario del Partito a Shanghai, dove nel 2007 ha sostituito Xi Jinping. Ma vi sono molti altri candidati di prestigio: per esempio, Li Yuanchao e Liu Yunshan, responsabili rispettivamente del Dipartimento dell’organizzazione e di quello della propaganda.
Buona parte delle difficoltà degli osservatori di cose cinesi nasce dal poco che si sa della biografia, ma soprattutto delle idee dei leader, i quali tutti tendono a esporle in luoghi chiusi e fortemente protetti. Sappiamo qualcosa di più di Hu Jintao e di Wen Jiabao, perché hanno governato il paese, restando sulla scena, per gli ultimi dieci anni. Ma proprio su Wen Jiabao è apparsa una dettagliata inchiesta del New York Times, che mostra come lui e la sua famiglia si siano spropositatamente arricchiti nel periodo in cui Wen era primo ministro. Ci si chiede quanto queste rivelazioni, forse manovrate, possano influire sul suo futuro politico. Molto popolare (più del Presidente Hu), Wen si era conquistato la fama di sostenitore, sia pure prudente, di qualche forma di accelerazione del cammino verso le riforme politiche, ed è più che probabile che questo abbia accresciuto il numero dei suoi nemici. Quanto a Hu, è possibile che nei prossimi anni eserciti un ruolo di controllo e di consiglio, simile a quello svolto finora dall’86enne Jiang Zemin, grazie soprattutto al suo prestigio e al suo capeggiare la potente fazione che si rifà alla Gioventù comunista.
Ma veniamo ai due leader supremi in attesa della loro proclamazione ufficiale. Di Xi Jinping sappiamo già che è uno dei «principi rossi», che è nato nel 1953, ha servito nelle provincie del Fujian e dello Zhejiang, quindi a Shangai. Divenuto vice presidente, ha curato la preparazione dei giochi olimpici del 2008 e si è poi occupato dell’educazione dei quadri dirigendo la Scuola centrale del Partito. Ha compiuto numerosi viaggi all’estero. Quanto al futuro Premier Li Keqiang, nato nel 1955, proviene dai ranghi della Gioventù comunista e ha lavorato a lungo al fianco del Presidente attuale.
Ora siete pronti ad assistere alla partita con in mano un programma. Se Wang Yang sarà stato eletto nel Comitato permanente vorrà dire (forse…) che è probabile un’accelerazione delle riforme economiche in direzione liberista; se non sarà stato eletto, è probabile che abbiano prevalso la prudenza e la preoccupazione di tenere a freno la sua irruenza. Ma, attenzione. Non dimenticate quanto si diceva all’inizio. E cioè, non fidatevi: la Cina è spesso imprevedibile.
All’inizio del 1971 il maresciallo Lin Biao era il delfino di Mao, suo erede designato, eroe della guerra di liberazione ossequiato e amato. Pochi mesi dopo, l’aereo che portava lui e la sua famiglia, probabilmente, in Unione Sovietica, si schiantò al suolo in una località della Mongolia, in circostanze tuttora misteriose. Lin Biao fu accusato di aver complottato contro Mao. Un anno fa, il potente segretario del Partito di Chungqing, Bo Xilao, era fortemente in predicato per entrare nel prossimo Comitato permanente dell’Ufficio politico. Ora è stato espulso dal Partito ed è scomparso dalla scena politica. Prudenza, insomma.
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