Cie, una gabbia per lavarsi Denuncia dei medici Medu

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Guardate quelle foto (CLICCA QUI PER VEDERE LA GALLERY) scattate da un team di Medici per i Diritti Umani durante una visita nel CIE di Lamezia Terme, situato in località  Pian del Duca e gestito fin dalla sua apertura nel 1998 dalla Cooperativa Malgrado Tutto. In questa rara e preziosa testimonianza, si vede la serie di recinzioni alte 6 metri, le stanze con i letti di metallo fissati a terra e le stanze d’isolamento. Ma soprattutto un’inconsueta gabbia (gialla) per radersi la barba, esposto alla vista di tutti, forze dell’ordine, altri trattenuti e staff dell’ente gestore. Come se non bastassero le camere di sorveglianze, accese 24 ore su 24, in violazione di ogni privacy. Una gabbia lesiva della dignità  umana.

Prima dall’uscita dall’“abitacolo” stile guerra stellare versione Abu Ghraib, devi depositare la lametta in un apposito contenitore. Perché la lametta, la potresti ingerire, sì succede ogni giorno nei CIE. Come batterie, lucchetti e lampade, braccia tagliuzzate, nell’autolesionismo diffuso per via di disturbi psicologici; per il tempo è vuoto, sospeso, fino a 18 mesi. Un anno e mezzo della vita di una persona derubata, senza aver commesso alcun reato. Ma la paranoia del sistema è totale e ha una sola angoscia e preoccupazione: che tu sfuggi, che ti inferti una ferita, che ti “tagli”, per sfuggire lo stesso. Perché qui si muore dentro. Perché qui è invivibile. Perché il Cie è lesivo e inutile e fallimentare pure rispetto alle sue ufficiali funzioni propagandistiche di lotta all’immigrazione irregolare: non ti identifica, non ti espelle, non ti rimpatria; a Lamezia Terme, meno della metà  (il 41% nel 2011) dei migranti trattenuti è effettivamente espulso. E circa il 90 % dei detenuti nei Cie in generale, proviene dal carcere: persone che sarebbero dovuto essere identificate in detenzione, ma si trovano a scontare una pena aggiuntiva e illegittima.

Il CIE è una bolla vuota, un espediente burocratico, un crimine di Stato. Una negazione del diverso che porta unicamente all’ impazzimento o al ritorno alla “clandestinità ”. Curarti no. In assenza di un preside dell’Asl, quei campi guarantiscono solo un’assistenza da primo livello e per pazienti affetti da patologie più gravi che necessitano diagnosi o cure specialistiche in strutture esterne, casi di negazione del diritto alla salute sono numerosi. In carcere, la relazione di fiducia medico-paziente viene, infatti, meno, sfiduciata dal sospetto che il detenuto simula una malattia nello scopo di sfuggire; medici e staff dell’ente gestore diventano spesso involontari carcerieri.

Ci sono prove testimonianza che ogni cittadino dovrebbe guardare. Come quella foto dell’immigrato detenuto che, nonostante la richiesta di effettuare un controllo ortopedico, per via di una grave forma d’infezione del femore e di una protesi all’anca, si è auto organizzato con una fisioterapia “fai da te” con una bottiglia di plastica piena d’acqua e legata al piede. Non per piangere sulla dignità  offesa dei migranti ma ribellarsi alla violazione dei diritti umani compiuti in nostro nome e chiedere, come fa la campagna LasciateCIEntrare, l’immediata chiusura dei CIE.


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