“Ci vuole una ribellione civica la criminalità è nel cuore delle istituzioni il governatore ora si deve dimettere”
MILANO — «Qui ci vuole una grande ribellione civica». Giuliano Pisapia ha fatto della morigeratezza nelle dichiarazioni pubbliche e della cortesia dei rapporti istituzionali uno dei tratti distintivi del suo governo della città . Ma il crescendo di inchieste giudiziarie, condanne, corruzione e malaffare, fino alla scoperta dell’infiltrazione della ‘ndrangheta al Pirellone, lo convince a uscire metaforicamente da Palazzo Marino per dare una scossa alla città , alla Milano dell’economia, delle professioni, della cultura e della creatività , alla politica locale travolta dagli scandali (il centrodestra) o impacciata nel reagire (il centrosinistra). «Ho sempre pensato che non tocca al sindaco chiedere un passo indietro al presidente della Regione, ma ormai si è superato il limite, a questo punto non si può andare avanti».
Attento, sindaco, Formigoni le ha già mandato a dire che lei non siede in Consiglio regionale e non è titolato a interferire.
«È vero, non sono consigliere regionale ma sono cittadino lombardo. E vorrei ricordare a Formigoni le decine di volte in cui, da presidente della Regione, è intervenuto pubblicamente per chiosare fatti o atti di governo che riguardano Milano. Dunque, credo di avere diritto di dire come la penso».
Cosa la turba, da cittadino lombardo?
«Quando ci sono, come pare evidente, elementi concreti per individuare un collegamento tra un rappresentante delle istituzioni e la ‘ndrangheta, quando di fronte a fatti come questo la maggioranza di governo della Regione non trova di meglio che mettere insieme un compromesso squallido e vergognoso, allora si deve dire con chiarezza che l’unica cosa da fare, ciò che il senso di responsabilità e il rispetto delle istituzioni impongono è dimettersi e restituire ai cittadini la possibilità di scegliere ».
Ma prima dell’arresto dell’assessore Zambetti accusato di aver comprato i voti dai clan, ci sono stati altri 13 tra consiglieri regionali, assessori ed ex assessori delle giunte Formigoni indagati, arrestati o processati. E c’è un presidente della Regione che, come ormai acclarato, ha mentito ai cittadini sulle sue vacanze pagate dal faccendiere Daccò.
«Tutti episodi gravissimi, a cominciare dal comportamento di Formigoni: ha detto che avrebbe dato risposte e non le ha mai date, ha detto che sarebbe andato dai magistrati a chiarire e non ci va, ha dato versioni contraddittorie. Ed è grave che così tanti dei suoi collaboratori, uomini che ha scelto e voluto nella sua squadra, siano sotto accusa per corruzione, concussione, bancarotta. Ma queste sono vicende giudiziarie. Oggi c’è qualcosa di più: l’idea che la criminalità organizzata sia in grado di penetrare fino al cuore dell’amministrazione pubblica è un colpo mortale alla credibilità delle istituzioni e causa una perdita di fiducia forse irreversibile da parte dei cittadini. Se si va avanti così, gli elettori non ci saranno più… Crescerà enormemente l’astensione, i voti andranno all’antipolitica o, peggio, a chi pensa di usare la politica per i propri scopi personali. L’abbiamo già visto ».
Eppure, di fronte alla gravità di questi fatti, la reazione di Milano, in particolare di quella che un tempo si chiamava la “buona borghesia”, non è parsa così
forte e sdegnata come ci si sarebbe potuti aspettare.
«Forse sono mancate alcune voci altisonanti, o forse i toni non sono stati abbastanza decisi. C’è purtroppo una grande assuefazione a queste situazioni di illegalità , figlie di un potere morente e della cultura berlusconiana da cui cominciamo a uscire. E c’è molta sfiducia nella possibilità di cambiamento. Ma io vedo anche tantissimi milanesi che si impegnano gratuitamente per una politica onesta».
Come si combattono la corruzione dilagante e la collusione con le congreghe mafiose?
«Lavorando dal basso, ricostruendo una cultura della legalità , immettendo nell’amministrazione pubblica, nelle squadre di governo e nella macchina della burocrazia gli anticorpi ai virus che infettano la vita pubblica».
Sì, ma a Milano proprio in questi mesi si assegnano i lavori per l’Expo, miliardi di euro. E dalle inchieste sembra di intravvedere un vero e proprio “progetto di rapina” dal parte delle cosche. Si sente di garantire ai milanesi che appalti, grandi e piccole opere non saranno inquinati da interessi illegali?
«Mi sento certamente di assumere l’impegno a lavorare perché ciò non avvenga. E il fatto che già sui primi appalti siano immediatamente emerse alcune anomalie mi fa stare tranquillo: la griglia dei controlli rigidi che abbiamo predisposto funziona ».
Come si salva allora questa politica malata?
«La politica si salva solo se è capace di autoimporsi un rinnovamento profondo e se torna a parlare con il territorio. Guardo nella mia metà campo: non basta contrastare i governi di Pdl e Lega, bisogna preparare un’alternativa credibile, attrezzare la mobilitazione, cogliere la volontà di cambiamento. Bisogna confrontarsi non solo tra partiti, ma anche con l’associazionismo, il volontariato, la cittadinanza attiva. Coinvolgere, allargare. Solo così riusciremo a far partire la ribellione civica che avvertiamo necessaria».
Il centrosinistra sembra in ritardo, su questo.
«Sì, lo siamo, in Lombardia come nel Paese. Le primarie non sono cominciate nel modo migliore. Ho già detto che il confronto sui progetti e sulle idee va bene, le polemiche personali tra i candidati no. Oppure chi vince le primarie rischia di perdere le elezioni».
Ha deciso chi voterà tra i candidati in campo?
«Andrò ad ascoltare tutti. Poi deciderò».
E Penati?
«È evidente a tutti, a lui per primo, che il suo caso imbarazza l’intero centrosinistra. Per lui vale tutto ciò che ho detto per Formigoni».
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