by Sergio Segio | 19 Ottobre 2012 7:45
BOMBA (CHIETI). «Quisse oh ca se n’arevaje a la case…». Filomena Nozzi, 65 anni, è una delle signore in prima linea nella protesta. «Se ne devono andare – ripete, stavolta mettendo da parte il dialetto -. Via, lontano da questo posto». Lei, insieme a quasi tutto il paese, da circa tre anni urla contro lo «scellerato progetto». Perché? «Perché mio figlio – precisa – mi dice sempre che se l’impianto viene realizzato, lui vende e si trasferisce, perché deve proteggere i bambini e la loro salute. Quindi io la battaglia la faccio per me, per lui e per i miei nipoti, di 10 e 5 anni, che debbo tutelare».
Tensione alta a Bomba (Chieti), borgo collinare imperlato da un lago nato dalla diga realizzata, tra il 1956 e il 1960, sul fiume Sangro, dal gruppo Acea: qui si produce buona parte dell’energia elettrica che illumina Roma. Un invaso – come riportano anche le enciclopedie – lungo sette km, con una larghezza media di uno e mezzo, una profondità massima di 57,50 metri e una capienza d’acqua fino a 64 milioni di metri cubi. E che da un po’ è al centro degli interessi dell’americana Forest Oil Corporation, con sede a Denver in Colorado, che vorrebbe sfruttare – mettendo a rischio un intero comprensorio – il giacimento di metano che si trova sotto il bacino idrico.
La multinazionale opera nel settore degli idrocarburi dal 1916, soprattutto negli Usa e in Canada. In Italia ha ottenuto diversi permessi di ricerca, nella pianura Padana e in Abruzzo, in Val di Sangro: e così ha piantato gli artigli sul lago. «Nel 2004 – ricorda Massimo Colonna, che coordina il comitato “Gestione partecipata del territorio” di Bomba – la società statunitense, attraverso la sua controllata italiana Forest Cmi Spa, ha ottenuto, all’insaputa della popolazione, l’autorizzazione a sondare la zona a ridosso dello specchio d’acqua. Come era prevedibile, scavando, ha ritrovato il ben noto giacimento di gas naturale che attualmente viene chiamato Colle Santo. A conclusione delle perforazioni ha chiesto al governo di poter procedere alla sua estrazione». Le trivelle, negli intenti dell’impresa, dovrebbero entrare in funzione – a più di mille metri di profondità – a circa un chilometro dallo sbarramento artificiale, situato su un’area ballerina e ritenuta a forte rischio sismico. Il timore è che vi siano cedimenti e dissesti con pericolo per la tenuta della diga.
In ballo, dunque, ora c’è il «Bomba Field», un piano da 90 milioni che ogni anno prevede l’estrazione di 238 milioni di metri cubi di metano. «L’aspetto preoccupante – spiega un documento inviato all’amministrazione provinciale di Chieti, contraria all’iniziativa – è legato al grave rischio idrogeologico che esiste in questi luoghi, zeppi di smottamenti». Le rive del lago – basta andare a dare un’occhiata per verificare – sono continuamente interessate da movimenti: le sponde si aprono in spaccature e voragini che puntualmente annientano la strada e danneggiano le strutture sportive vicine. Frane, ma non solo.
Quel territorio è come il Vajont
«L’estrazione del gas, circa 650 mila metri cubi al giorno per 12 anni, – è stato ancora evidenziato – provocherebbe sicuramente il fenomeno della subsidenza, ossia l’abbassamento verticale della superficie dei terreni e ciò potrebbe mettere a rischio la stabilità della diga. È facile immaginare che, se ciò dovesse verificarsi, come spesso in Italia è successo, si andrebbe incontro ad un disastro e, a scongiurarlo, non basterebbe il sistema di monitoraggio che la Forest installerebbe». Elementi di fragilità che, nel 1992, convinsero l’Agip, che allora aveva la concessione, ad abbandonare il progetto: rinunciò a scavare per ragioni di sicurezza. L’allerta arriva anche da un vecchio testo, Geologia ambientale, di Bruno Martinis (Utet 1988), che insiste sui… «pendii della zona, molto acclivi». E insicuri… «In sostanza, – recita – la coltivazione del giacimento a gas di Bomba pone problemi ambientali molto complessi, che vanno dall’inquinamento a fenomeni di subsidenza che possono interessare sia la diga sia i versanti instabili dei rilievi prospicienti…».
Nicola Berghella, 89 anni, originario di San Vito Chietino e che vive a Roma, ha visto la diga venire alla luce. «Ho seguito le fasi della sua costruzione – riferisce – dai sondaggi fino alla conclusione degli interventi. Ero un dipendente dell’Acea di Roma e insieme ai funzionari del Genio civile di Chieti mi sono occupato dei problemi topografici della chiusa e del bacino, oltre che degli stati di consistenza dei terreni espropriati. All’epoca questa era considerata la diga in terra battuta più grande d’Europa. Deviato il fiume, si stava scavando nell’alveo, quando, inaspettatamente, quello che doveva essere l’appoggio della spalla destra della diga franò, con una massa enorme di detriti: per fortuna il fatto si verificò di notte, così si evitarono tante possibili vittime. Le sponde del lago sono tutte cedevoli, – riflette – tanto che, parte di esse, furono imbottite di iniezioni di cemento. È una fascia di territorio che rassomiglia al Monte Toc del Vajont, che produsse quell’immane sciagura nel 1963. L’equilibrio dei luoghi non va assolutamente intaccato».
«È appena il caso di ricordare – asserisce Alessandro Lanci, presidente del movimento “Nuovo senso civico” in una lettera mandata in proposito al ministro Corrado Passera – che nel nostro Paese le tragedie sono quasi sempre annunciate e che in questa valle vivono 15 mila abitanti e vi sono fabbriche che danno lavoro a circa 13 mila operai e ne fanno un epicentro dello sviluppo industriale del Centro-Sud. C’è qualcuno che, in questo governo, vuole passare allo storia legando il suo nome a una prevedibile catastrofe?». Alla presentazione del progetto, durante un incontro pubblico, ai cittadini è stato raccontato che sarebbero stati realizzati cinque pozzi e un metanodotto, di circa sette chilometri, per consegnare il gas alla Snam. «Ma ascoltando tecnici e ingegneri della Forest – riprende Colonna – ci siamo accorti che la faccenda era più complessa. Siamo andati al ministero dello Sviluppo economico e dai documenti, abbiamo scoperto che la ditta, oltre al resto, vuole tirare su una raffineria e camini alti fino a 44 metri».
Il dissenso a ogni finestra
Verità nascoste, veleni assicurati e Bomba è insorta, contestando anche sonoramente, a più riprese, la Forest e il suo management. «Si sono presi gioco di noi, non possono trattarci come i cafoni di Fontamara». Il centro abitato è stato tappezzato di lenzuoli e striscioni contro l’ecomostro: il dissenso a ogni finestra, su tanti balconi. Nel frattempo ha preso piede il comitato, costituito da giovani, che segue l’iter del progetto, informa e adotta, passo dopo passo, gli atti necessari a bloccarlo. Altri 18 Comuni, col tempo, hanno deliberato contro.
Il gas presente nel giacimento è di pessima qualità . È tra l’altro sporco e ricco di idrogeno solforato, sostanza acida, altamente tossica e puzzolente. «Contiene – scrivono gli esperti – una percentuale di idrogeno solforato superiore di 600 volte al limite consentito», tanto da richiedere una “ripulita” prima di poter essere immesso nella rete nazionale dei metanodotti. Per ciò occorre una raffineria. «Per la cui realizzazione, però, non saranno utilizzate le migliori tecnologie disponibili – fanno presente i ragazzi del Comitato – e così sarà necessario anche un termodistruttore, un vero e proprio inceneritore che smaltirà le scorie bruciandole. L’investimento della Forest per essere economicamente vantaggioso e sufficientemente remunerativo dev’essere realizzato a basso costo a scapito della salvaguardia della nostra gente e della qualità dell’aria». Per l’abbattimento dell’idrogeno solforato la Forest prevede di usare uno speciale impianto della Schell-Paques di cui esiste un solo esemplare al mondo ed è ubicato nel deserto del Texas dove l’abitazione più vicina dista 500 miglia. Mentre a Bomba sorgerebbe a un palmo dal centro storico.
«Ma di criticità e anomalie tecniche – rimarca Massimo Colonna – ne abbiamo scoperte ed evidenziate a iosa. Esigiamo rigore e rispetto: non vogliamo che si ripeta quello che è successo a Taranto con l’Ilva». L’opera andrebbe anche a deturpare un paesaggio di grande bellezza e un’area di pregio naturalistico, che si trova in mezzo a due siti di interesse comunitario per la protezione della biodiversità . «Tutto ciò – afferma Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice italiana emigrata in California – per prelevare, in 12 anni di sfruttamento, una quantità di metano ridicola, in grado di coprire il fabbisogno nazionale di appena sei o sette giorni. Dall’altra parte si avrebbe una realtà , che sta puntando sullo sviluppo turistico, devastata».
Ma la Forest Oil, con il suo amministratore delegato Giorgio Mazzenga, non demorde. Anche perché rinunciare al giacimento significherebbe perdite grossissime. E allora avanti, con ricorsi su ricorsi e minacce di richieste di risarcimento milionarie.
Il progetto si è trovato davanti un percorso accidentato, per l’opposizione ostinata di Bomba che, resistendo a colpi e contraccolpi, si è trascinata dietro enti, istituzioni e associazioni. E i vescovi. La questione sembrava essere stata chiusa nei mesi scorsi con la doppia bocciatura del Comitato Via (Valutazione impatto ambientale) della Regione che sulle vicende che concernono la petrolizzaziozione è sempre stata ambigua, tanto da far saltare spesso i nervi agli ecologisti, Wwf prima di tutti. Ma la Forest si è rivolta al Tar (Tribunale amministrativo regionale) che ha riaperto il caso. A seguire si è attivato il ministero dello Sviluppo economico che ha convocato una Conferenza di servizi. «Abbiamo temuto il peggio», ammettono in paese. Ma da Roma nessun provvedimento: è la Regione che deve decidere, è stata la conclusione dell’incontro. E tutti hanno tirato il fiato. «Ci aspettiamo ora – dichiara il sindaco di Bomba, Donato Di Santo – che la Regione metta la parola fine a questa logorante e interminabile storia, confermando le proprie posizioni».
Turismo all’idrogeno solforato
«Il lago – ricorda Rosaria Nelli, operatrice turistica – è anche campo di gara ufficiale di canottaggio e nel 2009 ha ospitato i Giochi del Mediterraneo. Nel settembre 2010 è stato sede dei Campionati italiani assoluti di canoa e kayak. Da queste parti – ammette – è difficile tirare avanti. Ed è durissimo in un momento di profonda crisi e con politiche di promozione e valorizzazione quasi inesistenti». Lo sa bene la Forest, e, nella mischia, che s’inventa? Un Ecopark: fiorellini, un percorso attrezzato, punti per l’osservazione degli animali, piste ciclabili e aree picnic e contribuiti per la difesa e il rafforzamento degli argini fluviali. E, più in là , le ciminiere dell’impianto dipinte di blu e verde in modo che si camuffino nella natura. «Riteniamo – ha scritto Mazzenga – di poter contribuire alla promozione turistica e al potenziamento delle strutture e dei servizi, grazie anche alle royalties minerarie e alle tasse che andremo a versare; tutto questo nell’ambito del progetto che speriamo possa ottenere le autorizzazioni necessarie».
«Così – ribatte Pasquale Cacciacarne, presidente dell’associazione di bed end breakfast “Parco Majella Costa Trabocchi” – oltre la siepe i villeggianti incapperanno in una raffineria con annessi scenari di pericolosità idrogeologica, con odori fetidi ed esalazioni nocive. Che altro si può desiderare in vacanza?».
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