by Sergio Segio | 24 Ottobre 2012 7:22
Oppure l’italiana Alessandra Ferri, che nel 2007 ha lasciato il palcoscenico per dedicarsi a tempo pieno alle sue bambine. Per non parlare di tutte coloro che pensano che non ne valga più la pena, soprattutto nel nostro Paese, viste le discriminazioni che continuano come raccontano i dati sul gender gap.
Statistiche sempre più sconfortanti: l’Italia è 74esima nella parità di genere, peggiorando nel 2011 il dato del 2009 e 90esima per le opportunità di partecipazione alla vita economica. Eppure se per noi è drammaticamente normale essere abituati a questi numeri, il fatto nuovo è che anche altrove le donne sentono di essere sopraffatte.
Come si fa allora a conciliare il lavoro e la famiglia? È possibile farlo, per una donna, o è solo uno dei tanti ideali irrealizzabili?
Dopo aver preso alla lettera il mito contemporaneo secondo cui basterebbe “organizzarsi” e “volerlo” per ottenere tutto, c’è chi, al culmine della carriera, prende atto del fatto che, in quel magnifico tutto, manca l’essenziale, ossia la semplice e banale evidenza che la vita può anche non essere una corsa affannosa per essere all’altezza di ogni aspettativa. C’è più libertà , ma tutto si è moltiplicato, in un tempo che resta lo stesso.
Il discorso vale anche per gli uomini. Solo che, per loro, il problema continua a porsi in modo diverso. Visto che sono abituati da sempre a contare sulle donne — madre, sorella, moglie o compagna — per conciliare l’inconciliabile. E che quando sacrificano la famiglia al lavoro, trovano sempre chi è pronto ad adularne il narcisismo e a valorizzarne gli sforzi: per un uomo, il sacrificio della vita privata è considerato una prova di grande coraggio e generosità . Al contrario delle donne che, prima o poi, finiscono con l’essere colpevolizzate o col sentirsi inadeguate. Come fa una mamma a non esserci quando i figli hanno bisogno di lei? Vale veramente la pena fare sempre tutto di corsa quando poi non si è nemmeno capaci di godersi tranquillamente un weekend con i propri bambini perché ci si sente troppo in colpa? Nonostante tutte le battaglie femministe degli anni Sessanta e Settanta, sono sempre le donne che, alla fine della giornata, ne devono poi cominciare un’altra fatta di faccende domestiche e spesa, cucina e pannolini da cambiare. E anche quando gli uomini ce la mettono tutta per condividere il peso della quotidianità , il problema di conciliare la carriera professionale e la famiglia è lasciato ancora troppo alle risorse individuali delle donne. Mancano le strutture. Mancano gli aiuti. Mancano i
soldi. Mancano le politiche pubbliche. Ma forse il problema non è solo questo. Non c’è solamente l’assenza di aiuti e l’indifferenza maschile che possono spiegare come mai alcune donne, dopo aver fatto di tutto per occupare posizioni di responsabilità , decidano di mollare tutto. Forse c’è anche e soprattutto l’angoscia di non farcela più a essere sempre e comunque perfette. La frustrazione per tutti quei desideri che non si realizzeranno mai. L’ansia da prestazione.
Se le donne, invece di essere ossessionate dalla necessità di essere sempre e comunque impeccabili, si accontentassero di fare quello che possono, con i mezzi a loro disposizione, forse non avrebbero bisogno di mollare tutto quando non ce la fanno più. Una madre può essere anche solo «sufficientemente buona», come spiega Winnicott. Anzi, è proprio in quel “sufficientemente” che c’è la base per un rapporto equilibrato con i figli. E lo stesso vale naturalmente anche per il lavoro. Dove talvolta basterebbe essere “sufficientemente efficaci”. Senza sentirsi in colpa perché c’è sempre quel qualcosa che non si riesce a fare come si vorrebbe. Ma per questo, bisognerebbe essere capaci di rimettere in discussione non solo la cultura del “you can have it all” (puoi avere tutto), ma anche il culto dell’onnipotenza della volontà . Perché quando si parla della realtà , l’onnipotenza non ha più alcun senso. La realtà è sempre e solo limitata. E i limiti intrinseci del reale, il famoso “principio di realtà ” freudiano, impediscono ad ognuno di noi di essere sempre all’altezza delle aspettative altrui, di essere sempre perfetti. Le nostre energie sono limitate. E allora capita di essere stanchi, di sbagliare, di non poterne più. Ecco perché, talvolta, la scelta si impone. Ma proprio perché si impone, conta poco sapere se daremo più spazio al lavoro o alla famiglia. Perché la volta successiva potremo sempre scegliere in modo diverso. Senza che la scelta sia vissuta automaticamente come una sconfitta.
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