Approvata la legge sull’aborto Legale, ma con molti ostacoli

by Sergio Segio | 19 Ottobre 2012 7:46

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Dopo ben otto tentativi dal 1979 a oggi, l’Uruguay avrà  così una nuova normativa a riformare la legge del 1938, che fino a ieri prevedeva la reclusione da 3 a 9 mesi per la donna che ricorre all’aborto e fino a 24 mesi per chi lo pratica – in un paese di 3 milioni di abitanti dove si contano circa 33 mila aborti illegali l’anno, o forse il doppio secondo la stima di molte organizzazioni delle donne.
Un vittoria delle donne, si dirà . Ma ai movimenti che da anni si battono per una nuova legge criticano quella approvata dal parlamento: e la delusione è tanto più forte perché il cammino per arrivarci è stato accidentato. Il capitolo più recente della storia dell’interruzione di gravidanza in Uruguay risale al 2008: in novembre il senato aveva approvato in via definitiva un disegno di legge che legalizzava l’aborto. Pochi giorni dopo Tabarè Và¡zquez, primo presidente socialista, con il sostegno della ministro della sanità  Maria Julia Muà±oz, pose il veto per «questioni biologiche e filosofiche». I movimenti sociali che lottavano da anni per la legalizzazione dell’aborto non si diedero per vinti e nel 2011 presentarono un nuovo disegno di Legge, questa volta sicure di poter contare sull’appoggio del nuovo presidente, José Mujica, che aveva dichiarato di essere personalmente contrario all’aborto ma di non opporsi a una legge per la sua regolamentazione. Quella volta la proposta delle donne è passata in sSenato: ma non ha raccolto i voti sufficienti alla camera, dove un deputato del Partito Indipendente (parte del Frente Amplio, la coalizione di maggioranza), Ivan Posada, ha rifiutato di votarla. In seguito è stato lo stesso Posada promuovere una nuova bozza negoziata con i colleghi di coalizione – ed è quella ora approvata.
La nuova legge prevede che non si applichino le sanzioni previste dalla legge del ’38 se la donna che chiede l’Ivg soddisfa determinati requisiti e si rivolge a un istituto di cura affiliato al Sistema sanitario nazionale integrato. I requisiti sono che ci si rechi presso il servizio di salute, si dichiarino al medico i motivi che hanno portato alla gravidanza e alla decisione di abortire. Il medico la invierà  quindi a un team multidisciplinare composto da un ginecologo, un professionista della salute mentale e un assistente sociale che dovrebbe informarla circa i sostegni alla maternità , la possibilità  di dare in adozione il bambino e il rischio relativo all’aborto. La donna ha 5 giorni per «riflettere» e infine, se persiste nella sua intenzione, l’istituzione sanitaria coordinerà  l’interruzione immediata. La legge consente l’obiezione di coscienza per i medici e il personale sanitario; nei casi di minori di età  sarà  necessario il consenso informato di un adulto o di un giudice. Non si applicherà  il termine delle 12 settimane quando la gravidanza sia il frutto di uno stupro, se ci sono rischi per la salute o la vita della donna o se sussistono «malformazioni fetali gravi, incompatibili con la vita extrauterina».
«Il Parlamento ha voltato le spalle alle donne e alle organizzazioni della società  civile», commenta la Coordinadora por el aborto legal, il coordinamento che si batte per la legalizzazione. Quella procedura per cui la donna deve esporre le sue ragioni e sentirsi invitare a «riflettere» è particolarmente umiliante, ci ha detto Lilian Celiberti, coordinatrice di Cotidiano Mujer e della rete femminista latinoamericana Articulacià³n Feminista Marcosur, che ci parla a nome della Coordinadora. «E’ profondamente umiliante e che ci indigna: perché nessuna arriva alla decisione di abortire senza aver riflettuto sul proprio progetto di vita di fronte a una gravidanza indesiderata. Supporre che le donne abbiamo bisogno di essere “orientate” da un gruppo di tecnici significa mortificare i loro diritti di cittadinanza. E’ come dover riconoscere come naturale la supervisione tecnica sui propri corpi e le proprie vite. In definitiva, questa legge obbliga ad accettare questa tutela per non essere considerate delle criminali.
In ogni caso si tratta di una situazione paradossale: ci troviamo ad affrontare i settori più conservatori e anti-diritti con una riforma che presenta punti critici proprio sui diritti delle donne. I conservatori hanno già  annunciato una raccolta firme per un referendum che abroghi la legge: così i cittadini uruguayani, che in vari sondaggi ha sempre espresso il proprio sostegno alla depenalizzazione – tra il 56 al 52% e in alcuni periodi fino al 63% – si troveranno a dover scegliere tra un progetto assolutamente insufficiente e un trionfo del conservatorismo reazionario.
Quale è la differenza fondamentale di questo progetto di legge rispetto a quello elaborato dai movimenti delle donne?
La differenza principale è nel suo spirito. Nel nostro progetto di legge l’articolo 1 recita: «Ogni donna adulta ha il diritto di decidere l’interruzione volontaria di gravidanza nelle prime dodici settimane di gestazione».
Che posizione hanno le deputate del Frente Amplio che hanno portato avanti il progetto di legge dei movimenti delle donne?
Hanno deciso di fare un lavoro di mediazione, ascoltando quasi quaranta diversi gruppi. Riconoscono anche loro che in questa legge non si affronta il tema della depenalizzazione dell’aborto, di vitale importanza in quanto stabilisce i diritti delle donne sulla salute sessuale e riproduttiva, sanciti in una norma approvata nel 2008. Ma considerano che comunque sia un passo avanti rispetto alla legge del 1938, e che sia per ora l’unico modo di garantire un aborto sicuro alle donne, soprattutto a quelle in situazione di fragilità  sociale ed economica. Cosa farà  la coordinadora? Per il momento stiamo organizzando una grande campagna per pubblicizzare il diritto delle donne di decidere della loro vita. Ci prepariamo anche a rispondere a questa legge studiando le scappatoie che lascia aperte; vogliamo che le donne abbiano gli strumenti per affrontare il potere medico e burocratico con la loro forza e determinazione.

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