ANNA MARIA ORTESE E LE ALTRE LA VITA SCRITTA DALLE DONNE

by Sergio Segio | 8 Ottobre 2012 7:27

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Anna Maria Ortese pensa che sia importante, certo, scrivere «bei libri», ma soprattutto “libri autentici”. E sono autentici i libri in cui si sente “il suono della vita”. È la volontà  che dichiara in quella specie di autobiografia intellettuale e testamento spirituale e dichiarazione di poetica che è Corpo celeste; volontà  di cui riconosce quanto sia difficile la realizzazione, ben sapendo che “la vita è un capolavoro inafferrabile”. E spesso è “muta” la voce della creatura, che come la mite Nina, o Liuba del racconto di Dostoevskij, si ritrova spesso «povera e senza accento».
Per quel che considero un magico gioco di coincidenze, prima di accogliere Anna Maria Ortese in questo libro, Nomi, che ora presso Donzelli rinasce, nel lontano 1986, quando per la prima volta questo libro comparve, avevo scelto, a mo’ di sottotitolo del medesimo, “il suono della vita”, volendo inseguire nella parola scritta delle donne scrittrici che vi abitano proprio quella vibrazione.
Ecco perché Anna Maria Ortese doveva essere accolta tra di loro: perché in ognuna c’è un po’ di Anna, essendo Anna O. – come per brevità  qui la chiamo – l’essenza della letteratura. C’ è Anna O. in Emily Dickinson, nei suoi vertiginosi ellittici versi. C’ è Anna O. in Virginia Woolf, nel senso che nella prosa di entrambe si respira il ritmo delle medesime onde. C’è Anna O. nell’esaltata e febbrile immaginazione delle due sorelle Brontà«. Ritroviamo il suo vibrato fiabesco in Karen Blixen. Lo stesso amore per le carte geografiche e i luoghi lontani in Elizabeth Bishop. L’affetto per le creature minori in Marianne Moore. È così che Anna O. intreccia con loro un dialogo silenzioso. Sono amicizie stellari, profonde e altissime consonanze che risuonano in echi, in ritmi, in rime, in ripetizioni niente affatto ricercate; piuttosto involontarie imitazioni che stabiliscono parentele tanto più intime. La cui materia è l’immaginazione, il cui nutrimento è la lingua.
In tutte ritrovo la stessa gioia di quando la parola trova l’accordo con il respiro universale. Respirano l’uomo e le piante e gli animali tutti e respira il poeta, dettando i suoi versi. Non a caso Anna O. comincia scrivendo poesia. E anche quando scrive racconti e romanzi la sua prosa lievita nel canto.
La gioia ha molto a che fare per Anna O. con il respiro libero, nudo. Quando l’avverte, sente di “tornare a casa”, perché leggere e scrivere è “tornare a casa”. Se si scrive o legge “realmente”, questo accade. Mentre chi non scrive o non legge è sempre fuori casa, è “un povero”. Su questo Anna O. non ha dubbi: la casa della creatura umana è il linguaggio. Grazie al linguaggio, la “bestia che parla” – come lei stessa si definisce – salva il mondo.
Come lei “bestie che parlano” sono Virginia, Emily, Elizabeth… È in questo contesto di voci amiche, women’s voices, human voices, dove una voce, o più voci insieme ricreano nel silenzio della parola scritta il suono della vita che l’ha generata, che più forte risuona la qualità  profonda della scrittura di Anna Maria Ortese. Scrittrice a vocazione “trascendentalista”, intonata a una tradizione europea, americana.
Sono parole difficili “femminile”, “materno”; difficili da usare in epoca di gay and lesbian studies…
Ma senz’altro materno e femminile, è per Anna O. l’evento della creazione: “Creare è una forma di maternità ; educa, rende felici e adulti in senso buono”.
Viene il sospetto, ad ascoltare la voce di Anna O – come quella delle altre protagoniste di questo libro, forse la mia stessa voce – che una donna non sarà  mai nichi-lista, che una donna ha un modo tutto suo di avere a che fare con quel poco o niente che è la vita.

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