by Sergio Segio | 13 Ottobre 2012 8:00
PARIGI. L’Unione europea ha ricevuto il Premio Nobel per la pace per il ruolo che la costruzione comunitaria ha avuto nella promozione della «pace, della riconciliazione, della democrazia, dei diritti dell’uomo in Europa», per aver «fatto passare l’Europa da un continente in guerra a un continente in pace», ha spiegato il presidente del comitato del Nobel, l’ex primo ministro laburista norvegese Thorbjoern Jagland, oggi segretario generale del Consiglio d’Europa. Il Nobel è una mezza sorpresa, già nei giorni scorsi era circolata con insistenza l’ipotesi di questa scelta fatta dal comitato composto di norvegesi, paese euroscettico che per due volte ha respinto con un referendum l’adesione alla Cee (’72) e alla Ue (’94). Ma era da anni che l’Ue era tra i candidati («dopo Gandhi, la grande dimenticata» è una boutade diffusa), soprattutto negli anni ’90 quando il Nobel aveva premiato delle «riconciliazioni»: Mandela-De Klerk per il Sudafrica prima, John Hume-David Trimble per l’Irlanda poi.
Il Premio, che arriva paradossalmente nel momento in cui l’Unione europea sta attraversando la peggiore crisi della sua storia, con 18 milioni di disoccupati e una frattura Nord-Sud che sembra voltare le spalle alla solidarietà , è prima di tutto un omaggio al passato: la Comunità europea prima, l’Unione oggi hanno garantito 60 anni di pace tra nemici che si erano combattuti per centinaia di anni. L’unità del continente, prima tra sei paesi, oggi a 27, è nata sulle macerie della seconda guerra mondiale e oggi, ha sottolineato Jagland, «una guerra tra Francia e Germania è impensabile». Riconciliazione Francia-Germania all’inizio, unità tra il nord e il sud ancorato definitivamente alla democrazia (Grecia entrata nell’81, Spagna e Portogallo nell’86, tutti paesi usciti da regimi dittatoriali), e con gli allargamenti del 2004 e del 2007 riconciliazione con l’est Europa, in attesa delle nuove adesioni (Croazia nel 2013, mentre nuovi paesi, dall’Albania alla Serbia e alla Turchia sono in attesa). Ma il Nobel è anche un incoraggiamento per l’oggi e l’avvenire, sia per l’Europa stessa, che per il resto del mondo. Il Premio è «un passo importante e coraggioso da parte del comitato del Nobel» ha affermato il capogruppo S&D Hannes Swoboda, che ricorda che «oggi non abbiamo bisogno di meno Europa e di un passo indietro verso gli stati-nazione, ma di più Europa», vale a dire di «un’altra Europa, di un’Europa più sociale» per «ridare ai cittadini speranza e fiducia» nelle istituzioni europee scosse dalla crisi. Per Martin Schultz, il presidente Spd dell’Europarlamento ieri particolarmente emozionato, «i principi e i valori europei possono servire di ispirazione alle altre regioni del mondo. Dai Balcani al Caucaso, l’Europa serve di modello per la democrazia e la riconciliazione».
Il Parlamento europeo sarà rappresentato a Oslo alla cerimonia del ritiro del Premio, che verrà consegnato nelle mani di Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue. Consiglio, Commissione, Europarlamento, tutte le teste della complicata costruzione europea saranno all’appuntamento, a dimostrazione che i 56 anni che ci separano dalla fondazione nel ’57 non sono stati una strada facile, scontata neppure dal punto di vista della costruzione tecnica.
Le prime reazioni sono state di gioia, quasi di sollievo, per una buona notizia che arriva in un momento di profonda depressione. Il Nobel è «un grande onore per i 500 milioni di europei» ha detto il presidente della Commissione, José Manuel Barroso. «Immenso onore» anche per Van Rompuy, per gli europei che “sono riusciti a sormontare guerre e divisioni”. Il liberale Guy Verhofstadt ha espresso la propria felicità per un «riconoscimento del fatto che la Ue ha trasformato un continente bellicoso in progetto di pace». La commissaria agli affari interni e alle migrazioni, Cecilia Malmstrà¶m, ha ricordato che il premio «sottolinea l’importanza della cooperazione europea». Per Jacques Delors, che è stato 10 anni alla testa della Commissione, il Nobel è «un messaggio morale e politico: morale, perché rinunciando alle posizioni passate, i paesi europei hanno fatto pace tra loro, politico, perché arriva in un momento in cui ci sono molte critiche, statistiche e pronostici sfavorevoli alla Ue». Per l’eurodeputato Verde Daniel Cohn-Bendit, il Nobel deve incoraggiare la Ue «a chiedere un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu», con la rinuncia di Francia e Gran Bretagna. L’Eliseo afferma che il Nobel impone all’Europa «una responsabilità ancora più grande».
Non mancano naturalmente i critici. Molto numerosi all’estrema destra e tra i sovranisti. Per Marine Le Pen è una «decisone scandalosa, una provocazione». Per l’euroscettico conservatore britannico Nigel Farage, il Premio «mostra che i norvegesi hanno senso dell’umorismo, la Ue ha creato povertà e disoccupazione per milioni di persone».
A sinistra, Martine Billard, vice-presidente del Front de Gauche si è detta «sorpresa: l’Europa una zona di pace? È vero nel passato, ma non oggi con partiti che si richiamano al nazismo in Ungheria, Lettonia e Grecia». C’è chi critica la presenza di europei in guerre recenti al di fuori dei confini della Ue, dall’Iraq all’Afghanistan, gli interventi nelle guerre civili, dalla Jugoslavia alla Libia, la politica di chiusura e di repressione dei migranti, che contraddicono il Premio Nobel per la pace. Ma c’è chi ricorda che la Ue ha un programma di aiuti allo sviluppo unico al mondo, anche se oggi indebolito dalla crisi (verso i Palestinesi, per esempio). Ma soprattutto che la costruzione europea, contro le chiusure su se stessi, ha creato bene o male un’idea di cittadinanza comune ormai tra più di 500 milioni di persone.
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