Alle banche italiane mancano 22 miliardi I conti di Mediobanca

by Sergio Segio | 15 Ottobre 2012 7:14

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Questo non significa che tutte debbano chiedere altri denari agli azionisti. A Unicredit e Intesa Sanpaolo possono bastare gli aumenti di capitale già  fatti. Fronteggeranno l’erosione dei mezzi propri determinata dalle perdite sui crediti con gli utili. Ma il Monte dei Paschi e il Banco Popolare non faranno abbastanza profitti per coprire le perdite sui crediti nei prossimi 4-5 anni. Questo il quadro disegnato dall’ultimo report di Mediobanca Securities, oggi in distribuzione a Londra.
L’analisi entra a piedi uniti nel dibattito tra il Fondo monetario e la Banca d’Italia sulla solidità  delle aziende di credito. Mediobanca Securities lavora su un campione di 33 banche europee, che comprende le 10 principali banche italiane quotate. Il report non considera solo i crediti in sofferenza, ma tutti i crediti dubbi secondo la normativa italiana, e a questi armonizza i crediti dubbi del campione. La conseguenza è che il totale europeo così ricalcolato dei crediti dubbi, al netto dei fondi rischi, sale dal 7% all’8,2% degli impieghi. In cifra assoluta, stiamo parlando di 105 miliardi in più. I bilanci italiani sono dunque un po’ più rigorosi degli altri. Ma è una magra soddisfazione. In Italia, l’incidenza dei crediti dubbi sui mezzi propri delle banche sale come in nessun altro grande Paese, perché i crediti aumentano di un irrisorio 2% tra il 2008 e il 2011, mentre sofferenze, incagli e altre tristezze impennano (+112%) su uno stock già  alto prima della crisi. Accade così che siano italiane la metà  delle 15 banche del campione destinate a trovarsi in deficit di capitale. Mediobanca calcola anche questo deficit combinando diversi fattori. Nel complesso, le 33 banche europee avrebbero un fabbisogno di capitale di 80 miliardi. Di questi, 22 sono di pertinenza delle italiane, 10 delle spagnole, 31 delle britanniche, tra le quali primeggia la Lloyds (18 miliardi). A voler essere precisi, andrebbero contate anche le garanzie, per lo più immobiliari, che le banche associano ai fondi rischi per la copertura delle perdite sui crediti. Ebbene, nel campione i fondi rischi coprono il 40% dei crediti dubbi, le garanzie un ulteriore 80%. Nel caso italiano, i fondi rischi coprono il 46%. E poi ci sono garanzie doppie rispetto alla media europea. Ubi vanta una copertura complessiva del 215%, il Banco Popolare del 180%, Mps sfiora il 150%, Intesa sta sul 130%, Unicredit è un po’ sotto la media ma è sopra quanto a fondi rischi.
Una tale divergenza tra Italia e resto d’Europa ha le sue ragioni. All’estero si ricercano minori garanzie, perché si riesce a escuterle facilmente; si accumulano talvolta fondi rischi maggiori, perché li si deducono dall’imponibile fiscale (Francia e Spagna). In Italia, invece, la giustizia civile impiega 8-10 anni ad assegnare alla banca l’immobile dato in pegno dal debitore insolvente e il fisco limita gli accantonamenti non tassati. E così da noi si tende a restringere il credito nelle fasi recessive molto più che in altri Paesi. Gli appelli a prestare denaro si scontrano con la paura delle banche di portare i libri in tribunale. Di qui un’austerità  bancaria che fa eco all’austerità  fiscale del governo. Aggravando l’una e l’altra il ciclo negativo. Mediobanca, a questo punto, evoca il progetto della bad bank a cui attribuire i crediti dubbi per liberare le banche e l’economia da quelle catene. Ma non approfondisce. Forse perché la questione diventa politica. Chi e come valuterà  la qualità  del credito in modo omogeneo evitando le distorsioni attuali? La Bce, motore dell’Unione bancaria europea? Bene. Ma chi metterà  i capitali nella bad bank? La mano pubblica, si dice. Ma lo Stato non ha soldi, e allora andrebbero chiamati in causa gli enti sovranazionali, visto che alle banche spagnole andranno anche denari italiani. Ma alla fine tutto sarà  vano, avverte Mediobanca, se la giustizia civile sarà  sempre così lenta e se il fisco non consentirà  di accumulare fondi rischi negli anni buoni.

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