VINCE IL CINEMA DI QUALITà€ ANCHE SE L’ITALIA DIGIUNA

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PERCHà‰ il film era piaciuto al pubblico e a quasi tutta l’informazione, quindi la decisione della giuria non è stata né uno scandalo né una sorpresa. Solo una nuova delusione per il nostro cinema che, con tre film in concorso, non riceve la statuetta dorata dal 1998: ed erano in molti a pensare che finalmente questa volta Marco Bellocchio col suo bel film Bella addormentata, avrebbe conquistato il favore dei nove giurati, tutti stranieri tranne Matteo Garrone. Non è stato così, e si può immaginare il dispiacere del regista, che era a Udine per un incontro pubblico con Peppino Englaro: del resto, qui alla mostra, il suo film era stato il più applaudito, mentre nel mondo è stato invitato a tutti i festival. Sono già  cominciati i lamenti e le accuse, e per esempio Del Brocco di Rai Cinema ha espresso il suo risentimento perché «un’opera importante e coraggiosa come quella di Bellocchio, non sia rientrata nella rosa dei premi pur toccando un tema così universale». Più incattivito l’onorevole Giro, Pdl, ex sottosegretario ai Beni culturali: «Anche quest’anno il cinema italiano esce a pezzi da Venezia. Gli altri vengono qui e si premiano tra loro, ma per gli italiani non c’è niente.
Fanno bene Moretti Garrone e Sorrentino a preferire Cannes, dove infatti li premiano ». Però a Cannes non premiano da anni un film francese…
Possiamo essere patriotticamente feriti, ma i film in concorso erano 18 e i premiati sono tutti degni. Soprattutto Pieta, ma anche gli altri, in qualche modo percorsi da forme di fede, da sentimenti estremi che intrecciano perdono e vendetta, peccato e assoluzione, dipendenza e protezione.
Così il Leone d’Argento è andato a The master, dell’americano Paul Thomas Anderson, uno dei film più amati della Mostra, e la Coppa Volpi ai suoi due bravissimi protagonisti, Joaquin Phoenix e Philip Seymour Hoffman: il reduce di guerra alcolista, violento e disperato cui il geniale organizzatore di una setta nascente, manipolandolo, gli promette normalità  e redenzione. Una fanatica cattolica innamorata di Gesù al punto di tenere il crocefisso sotto le coperte, ha fatto vincere il premio speciale della giuria all’austriaco Ulrich Seidl, per Paradise: Faith.
Si aspettava uno scandalo, non c’è stato, perché la geniale, insignificante, Maria Hofstà¤tter è un figura dolente, patetica, grottesca, sia quando si fustiga o si mette i cilicio, che quando porta la statua della Madonna nelle case dei peccatori.
La deliziosa, giovanissima Hadas Yaron, israeliana, coppa Volpi alla miglior attrice, illumina uno dei film più interessanti della Mostra, Fill the void, regista Rama Bursthein, americana che vive a Tel Aviv e per amore è entrata nella comunità  chassidica di quella città , dove la religione domina ogni evento e ogni rapporto.
Di un film bello come Après mai del francese Olivier Assayas, sul caos giovanile degli anni 70, si è premiata solo la sceneggiatura; gli italiani hanno ottenuto premi che più di consolazione non si può, tanto per non farli sparire dal cinema internazionale. Daniele Ciprì al suo primo film È stato il figlio, come regista, ha dovuto accontentarsi del premio al contributo tecnico, cioè al suo lavoro di direttore della fotografia, per il suo film e non per Bella addormentata.
Mentre l’unico italiano contentissimo è certamente il giovane, e davvero bravo, Fabrizio Falco, premio Mastroianni per l’attore emergente, sia nel ruolo di un ragazzo dimesso e dal destino drammatico nel film di Ciprì, che in quello di un incontrollabile nevrotico con Bellocchio. Il Leone d’Oro Pieta è forse, con la sua carica di violenza fisica e psicologica, il film più spirituale, per qualcuno addirittura più cristiano, della Mostra.
Si racconta che la notte scorsa per cercare di ottenere un premio per Bellocchio, sia stato fatto una specie di assedio alla giuria: inutilmente. Ha commentato uno di loro: «Voi italiani vi guardate sempre l’ombelico, siete chiusi nelle vostre storie, nei vostri eventi, i vostri film sono autoreferenziali, li capite solo voi. Il cinema deve parlare al mondo, deve proporre temi universali, come lo erano quelli della tragedia greca. Tutti i film scelti dalla giuria sono comprensibili ovunque, e sono piaciuti anche al pubblico e ai critici qui alla Mostra».


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