Viaggio al termine del fanatismo

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Non sono mai oscuri i fili che intrecciano i destini di un padre distratto dalla ricerca di se stesso e di un figlio che ha scelto di lasciare il mondo per diventare un martire di Al Qaida. Così, quando Yussuf Al Firsioui perde di colpo Yassine e insieme a lui l’olfatto e la voglia di vivere, nella tragedia e nello sconquasso dell’anima faticosamente ritrova le risposte capaci di dare un senso alla propria esistenza. Suo padre era un guascone sognatore e ingannatore che amava l’arte e la bellezza, sua madre si è suicidata. I fili che uniscono la vita e la morte attraversano le generazioni senza mai spezzarsi e segnano le storie delle famiglie e degli individui. Sono lì, quei fili. Tesi. Senza inganni. Possono spiegare il significato della felicità  e del dolore. E le ragioni di una scelta definitiva. A patto che non si finga di non vederli.

L’arco e la farfalla (Fazi Editore) è un gioco di specchi, colto e raffinato come il suo autore. Mohammed Achaari è un intellettuale marocchino, scrittore, giornalista, ex ministro della Cultura, che all’inizio degli anni Ottanta è stato a lungo in carcere per il suo impegno politico nello schieramento dei partiti che si opponevano al regime di re Hassan II. Achaari è nato a Moulay Idriss, sulle montagne del Rif a qualche chilometro da Walili, la splendida Volubilis eretta dai fenici e resa maestosa dai Romani, che oggi è patrimonio dell’Unesco. Luogo magico di contaminazioni tra culti diversi, culla di eresie, di misteri. La faccia antica di un Marocco che sta cambiando pelle, dibattendosi tra speculazione selvaggia e corruzione, ma per adesso a una velocità  più controllata rispetto a quella che ha sbandato e travolto il resto del Maghreb e i suoi dittatori. Senza proporre alternative credibili e un futuro certo.
Anche Yussuf Al Firsioui viene da quelle montagne del Rif affacciate su Gibilterra e Tangeri. Figlio di un uomo ormai cieco e folle, che alla storia di Walili e ai suoi tesori d’arte ha consegnato la propria esistenza e di una tedesca annientata dal mal di vivere e dall’indifferenza di quel marocchino che l’ha portata via dall’Europa. Yassine era il suo unico figlio. Brillante studente universitario a Parigi, improvvisamente risucchiato dal fondamentalismo, poi transfuga nei campi d’addestramento di Al Qaeda in Afghanistan, infine saltato in aria con una cintura esplosiva in nome della causa talebana da qualche parte tra Kabul e Kandahar. Una meteora sfuggita alla distrazione di Yussuf, al quale lascia in eredità  il dolore insuperabile per la sua scomparsa, il senso di colpa per non aver capito e saputo prevenire quella deriva integralista, e la necessità  di un viaggio nel passato e nel presente alla ricerca di un perché.
L’arco era il sogno di Yassine. Un arcobaleno d’acciaio e cemento lanciato tra le sponde di un fiume, sui terreni di proprietà  di sua madre Bahia. La farfalla è un condominio lussuoso, frutto della speculazione edilizia che devasta Marrakesh, dove un ricco signore espone nel proprio salone la statua di Bacco trafugata a Walili dal padre di Yussuf come risarcimento per le angherie che lo hanno depredato di un albergo e lo hanno spogliato del piacere di continuare, pur vecchio e cieco, a guidare decine di turisti tra quelle rovine meravigliose dove tutto sembra ancora possibile. La poesia e l’amore.
Esattamente questo Yussuf va cercando adesso, dopo la perdita di quel figlio. Poesia e amore. Mentre intorno il suo mondo si va disgregando. Il matrimonio. Le amicizie. Il lavoro. Ma Yassine gli appare per mesi anche da morto. Gli appare ovunque, e gli parla. Ma con rancore. Guidandolo attraverso il disfacimento della propria esistenza, mentre Yussuf sta disperatamente cercando una spiegazione a quel suo gesto. E lentamente, quasi senza accorgersene, quasi non volendo, ricostruisce un nuovo se stesso. Capisce. Recupera l’olfatto, trova un nuovo amore, una nuova ragione di vivere, fino a scoprirsi in lacrime mentre annusa i vestiti di Yassine.
C’è il sapore del rimpianto per un Marocco che non esiste più, in questo romanzo di Mohammed Achaari che ha vinto il prestigioso Arabic Booker Prize. Un Paese che si interroga sul fondamentalismo che recluta a piene mani tra le nuove generazioni, e ha mandato a morire decine di ragazzi negli attentati di Madrid o tra le file dei talebani in Afghanistan. È tutto scritto nei fili che lo legano al passato. Quelli che Yussuf Al Firsioui fingeva di non vedere. Gli stessi che segneranno il suo destino.


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