Un’aquila tedesca per i rentier della conoscenza

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Niente di nuovo, commenterà , l’internauta di lungo corso corso, che ha sempre giudicanto negativamente i vecchi e i nuovi rentier della conoscenza. Sono anni che la cancelliera Angela Merkel ha preso posizione contro Google e a favore delle proposte di Rupert Murdoch e di molti editori del suo paese che invocano il rispetto del diritto d’autore, equiparando così la società  di Mountain View a un pirata che saccheggia contenuti altrui per farne profitto.
Si potrebbe annotare che quella della Merkel è una mossa non proprio felice, visto che da qui a un anno ci saranno le elezioni che vedranno presenti il «partito dei pirati», che nelle consultazioni elettorali regionali hanno visto ovunque alti consensi. Una formazione politica che ha al centro del suo programma la libertà  di circolazione dell’informazione, il sostegno al software «libero» o «aperto» e progetti di riforma delle leggi sulla proprietà  intellettuale in controtendenza rispetto a quelle esistenti. Quello che tuttavia colpisce nel progetto di legge di Angela Merkel non è la tempistica sbagliata, bensì l’incapacità  di misurarsi con la Rete.
La richiesta di far pagare a Google il diritto d’autore sugli articoli citati arriva, ad esempio, quando sono subentrati altri dispositivi che hanno trovato la mediazioni tra gli interessi degli editori, dei fornitori di contenuti in Rete alla luce di una tendenza molto forte su Internet che rivendica la gratuità  dei contenuti on line. Il successo degli Apple Store sta a testimoniare che le imprese possono rendere inefficace il motto «Internet is free», introducendo forme di pagamento «socialmente» accettabili. Il servizio di Google, tuttavia, presenta caratteristiche molto, perché il servizio Google News rinvia solamente a siti che pubblicano gli articoli o le notizie. Sotto molti aspetti presenta una selezione di siti internet già  elaborati dal motore di ricerca attorno a un argomento. Dunque, non è equiparabile alla lettura integrale di un giornale come invece accade con l’iPad della Apple. Il progetto di legge tedesco serve dunque solo a preservare le rendite di posizione per gruppi editoriali che non sono riusciti a trovare il loro modello di business nella Rete, cose che invece sono riusciuti a fare, con successo, Apple e Google.
C’è però anche un terzo protagonista, tuttavia, che in questa contesa ha fatto la sua parte. Sono gli internauti, che hanno continuato a stare in Rete esercitando il loro diritto di accesso ai contenuti ignorando la legge. In alcuni casi hanno anche stabilito alleanze contingenti con chi affermava la libertà  di circolazione dell’informazione. Ma è questo protagonista che rischia tuttavia di più, proprio perché si stanno affermando in Rete modelli di business che introducono una logica proprietaria «soft»: alcuni contenuti sono gratuiti, altri no. perché la libertà  dei contenuti è talvolta propedeutica ad acquisire data profile da vendere agli inserzionisti pubblicitari (Google); altre volte il pagamento è così irrisorio nel momento del consumo da risultare socialmente accettabile (Apple). Il rischio è che la legge della Merkel mette in secondo piano questo strisciante logica proprietaria che sta però diventando dominante dentro la Rete.


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