Una vita da nababbo senza spendere un euro così il denaro pubblico tornava al Celeste
MILANO. LA VERITà€ nascosta nei conti di Roberto Formigoni è sotto gli occhi di chiunque voglia vederla. Le carte giudiziarie, sin qui pubblicate, possono essere tante, e lasciarci frastornati. Ma documentano senza alcuna possibilità di smentita tre passaggi chiave.
DIMOSTRANO quanto denaro pubblico è tornato indietro per consentire al «Celeste» un tenore di vita da nababbo. Rileggiamoli.
Uno: abbiamo visto la Regione Lombardia rimborsare, con generosità e prontezza, l’ospedale San Raffaele e la fondazione Maugeri. Com’è sostenuto da varie testimonianze, in questi ospedali c’erano manager che avevano a disposizione, in anticipo sugli altri concorrenti, le bozze delle leggi sanitarie che sarebbero state approvate mesi dopo. Lo stesso invito a comparire a Roberto Formigoni parla del «sistematico asservimento della discrezionalità amministrativa» della Regione Lombardia alle esigenze del ragionier Daccò e dei disonesti. E come ha denunciato proprio ieri il Pd, che ha ritrovato la voce, grazie alle modifiche create dalla cosiddetta «legge Daccò», sono «quasi raddoppiate fra 2009 e 2010 le risorse erogate dalla Regione Lombardia alla Fondazione Maugeri». Il secondo passaggio è altrettanto semplice. È stato accertato come queste supercliniche aumentassero, grazie ai maneggi inevitabili di Daccò — che godeva di ottime entrature al Pirellone, e le usava — il gettito del denaro
pubblico gestito dalla Regione. C’era chi, come il San Raffaele, vittima anche della megalomania di don Luigi Verzè, ha sprecato molto. E chi, come la Maugeri, cercava di rimettersi in piedi. Tutti però erano e sono concordi: c’erano delle percentuali da «ridare» a Daccò. Un do ut des: negli ultimi anni i manager delle due fondazioni entrate nell’inchiesta hanno elargito al faccendiere di casa in Regione, tramite consulenze fasulle per giustificare gli esborsi nei bilanci, una cifra spaventosamente alta, 80 milioni.
Siamo così al terzo passaggio chiave. Una volta entrato nei conti esteri di Daccò, il fiume carsico di soldi scorreva tranquillo in tre direzioni: verso il socio Antonio Simone, ciellino, secondo alcuni il vero cervello delle consulenze fasulle; verso i paradisi fiscali e i prelievi in contanti da parte dello stesso Daccò; verso i lussi di Formigoni. Non ci sono altre uscite: «Daccò, che fa il consulente per questioni sanitarie, non spende un euro nel settore sanitario», sostengono al palazzo di giustizia. «E cioè — continuano — non paga scienziati, ricercatori, laboratori. Non fa nemmeno un abbonamento a una rivista scientifica ».
Attenzione: come si difende ormai la Regione? «Non un euro di denaro pubblico è stato sprecato, la sanità lombarda è la migliore d’Italia ai prezzi più bassi, la corruzione abita altrove», assicuravano ancora ieri in difesa del presidente. Se però non ci si fa distrarre e si guarda a quel fiume di denaro Fondazioni-Daccò-paradisi fiscali la sequenza resta nitida. Ripercorriamola ancora.
Uno, il denaro pubblico esce dalla Regione secondo scelte discrezionali e pilotate, con Daccò (appoggiato da Simone) che preme, telefona migliaia di volte, è «amico del Presidente».
Due, il denaro pubblico transita (non esiste altro verbo) sui conti della Fondazione Maugeri per finire rapidamente là dov’è destinato, e cioè al tandem Daccò-Simone.
Tre, una parte di questo denaro, che è uscito dalla Regione, torna indietro proprio per migliorare il tenore di vita di Roberto Formigoni, che della Regione pagante è il presidente. Il cerchio pubblico- privato-pubblico si è dunque chiuso alla perfezione.
Il numero uno del Pirellone ha più volte parlato di ricevute, conguagli a fine vacanza. Formigoni però non ha mai portato (da mesi) alcun elemento concreto per dimostrare come, quando e dove «ripagava» Daccò per viaggi caraibici, cene, yacht a disposizione perenne, per lussi superiori — si legge nelle accuse — ai cinque milioni di euro. Per altri 600 mila euro dati dalla Maugeri per la campagna elettorale 2010. Per 500 mila euro spesi in cene, eventi, incontri. Per quella villa in Sardegna venduta sottocosto, sempre secondo i pubblici ministeri, da Daccò ad Alberto Perego, ciellino, memores, capo casa di Formigoni. L’uomo pubblico tra i più in vista della Lombardia ha evitato in extremis l’incontro con i pubblici ministeri, fissato dall’avvocato Salvatore Stivala, che ha rinunciato infatti al mandato.
Resta così sospesa una domanda cruciale: con quali soldi vive Roberto Formigoni, presidente al terzo mandato della Regione Lombardia? La verità sui suoi conti non è più così misteriosa. È stato stabilito dall’indagine che entrano, mese dopo mese, gli accrediti degli stipendi di politico, ma non esce praticamente nulla. L’unico esborso di rilievo è stato il milione per la villa in Sardegna. Non c’è nulla di bancario ad indicare che Formigoni si mantenga da solo per eventi e incontri. Al contrario, sono le ricevute delle carte di credito di Daccò a parlare. A documentare quei cinque capidanno tra Terra del Fuoco e Caraibi pagati al Presidente da un ragioniere, il quale prende i soldi dalla mondo della sanità , in cambio di? Nella relazione di polizia è chiamata «vicenda Harmann». Succede questo: l’ospedale San Raffaele paga una consulenza alla Harmann Holding, che è, si scoprirà in seguito, una delle società ombra del faccendiere Daccò. Questa consulenza, affermano i detective, «è risultato essere il “copia incolla” di testi, relazioni, report predisposti da personale del San Raffaele al rientro delle proprie trasferte». Daccò aveva preso questi testi non suoi, consegnato «due pagine» striminzite e in cambio il San Raffaele (e chissà che cosa ne pensano oggi i dipendenti sull’orlo del licenziamento) gli aveva pagato 510 mila euro.
Non c’è mai (mai!) una vera consulenza da parte di Daccò, però lui «apriva le porte» in Regione. Sapeva garantire anni di denaro pubblico tramite le relazioni (definite) «apicali». Qui, nell’»eccellente » Lombardia, è così che nella sanità giravano «le cose».
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