Una battaglia da combattere fuori dalle aule giudiziarie

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Per riassumere brevemente i fatti: il 6 luglio scorso, a Premio Strega ancora caldo, vinto da Alessandro Piperno con il suo Inseparabili. Il fuoco amico dei ricordi (Mondadori), Vincenzo Ostuni, editor della casa editrice Ponte alle Grazie (gruppo Gems), sulla sua pagina Facebook, espone un giudizio molto tranchant sull’ultimo libro di Gianrico Carofiglio. Il «Corriere della Sera» riprende la vicenda, accompagnandola con un commento dello stesso Ostuni, molto più pacato, in realtà , di quello scritto ai suoi amici online.
Rispetto allo Strega, e alla competizione che si è appena conclusa, Ostuni non è estraneo, anzi è parte in causa: il candidato della sua casa editrice, Emanuele Trevi, con Qualcosa di scritto, ha mancato di un soffio la vittoria, classificandosi secondo. Segue Carofiglio con il romanzo Il silenzio dell’onda, già  accompagnato da 250.000 copie vendute circa. Entrambi sconfitti, quindi. Ai commenti a caldo di Ostuni, certamente polemici, prontamente replica Carofiglio, ma non sulla propria pagina Facebook (se ne possiede una) o sullo stesso «Corriere della Sera» o altra testata, bensì, come si dice, per le vie legali, citando Ostuni in tribunale per risarcimento di un presunto danno morale.
La reazione del mondo letterario italiano, che si schiera con Ostuni, con la firma di una dichiarazione del 24 settembre (libertadespressione.wordpress.com) a cui aderiscono una quarantina di scrittori e intellettuali e con articoli su varie testate – vedi lo stesso Trevi sul «Corriere della Sera» di ieri, o il critico Andrea Cortellessa sul «manifesto» della stessa data – è immediata. E difatti, al di là  dei toni più o meno accesi, è difficile pensare – sicuramente per chi conosce bene, come chi scrive, Vincenzo Ostuni e la sua duratura e quasi violenta passione per la letteratura – che l’uomo Ostuni volesse offendere l’uomo Carofiglio nella sua dignità  di persona. Rivolti all’opera e alla scrittura si devono considerare gli epiteti che Ostuni rivolge a Carofiglio, anche agli occhi di chi non condivide questo giudizio, o lo condivide ma non condividerebbe invece mai lo stesso modo di esprimersi.
Qui in gioco è l’opera, che in quanto pubblicata può diventare oggetto di giudizi, anche molto lontani e poco graditi alla sensibilità  di chi l’ha scritta. Prima o poi ogni scrittore – e ormai spesso anche i critici – si trova confrontato a questa esperienza, gadamerianamente intesa come ciò che ottieni quando non ottieni quello che vuoi, anche se un maggiore fair play sarebbe stato senza meno desiderabile. L’opera quindi, non l’autore; lo scrittore o la scrittrice, non l’uomo o la donna: una distinzione che appare sempre più importante continuare a ribadire, in tempi di strepitosa affermazione ovunque, nelle classifiche e in libreria, dello scrittore-, o scrittrice-personaggio, a dispetto dell’opera.
La via giudiziaria percorsa da Carofiglio appare quindi inaudita nella storia letteraria italiana perlomeno recente, che di polemiche anche molto più violente è ricca, come ricorda proprio Cortellessa sul «manifesto» del 25 settembre; e non è improbabile ritenere che, senza l’azione giudiziaria promossa da Carofiglio, le dichiarazioni di Ostuni, per quanto accese, sarebbero state già  dimenticate insieme all’appena trascorsa estate, con le case editrici impegnate a preparare le battaglie del prossimo Strega.
Paradossalmente, non è ingenuo ipotizzare che, con quest’azione legale così fortemente voluta, Carofiglio si arrechi da solo più danno di quanto possa mai avergliene arrecato Ostuni, soprattutto se consideriamo in dettaglio i due contendenti: da un lato, uno scrittore di grande successo di pubblico, dall’altro, un editor certo stimato negli ambienti letterari, ma sostanzialmente sconosciuto ai grandi numeri, e noto in particolare all’elusivo «pubblico della poesia» per alcuni volumi di versi. Se la fama è oggi il capitale più spendibile, persino quando involontaria, è Ostuni, che ha tutto da perdere sul piano economico, a trarre – sempre paradossalmente – vantaggio. E se il giudizio di un «addetto ai lavori», quale Ostuni è, al di là  dei toni certamente accesi e polemici, provoca una reazione così violenta, forse è proprio perché gli «addetti ai lavori» dell’editoria, non singolarmente presi ma nel loro complesso, rivestono – o comunque dovrebbero tuttora rivestire – i panni dei Guardiani della Soglia del canone letterario, anche in un’epoca che vede affermarsi sempre più ferocemente il dominio del mercato, e che, con una certa incarnazione – attenzione: solo una certa incarnazione – dell’editoria digitale come self-publishing senza mediazioni, tende addirittura a cancellare il concetto stesso di selezione editoriale.
A questo punto, quindi, il modo più sensato di concludere questo articolo è con un appello alla ragionevolezza: che questa battaglia esca dalle aule giudiziarie, e continui – se proprio continuare deve, non ce ne sarebbe bisogno – sul terreno della letteratura, con le armi della letteratura.


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