Uccisi nella guerra al clima

by Sergio Segio | 28 Settembre 2012 6:37

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Il Forum ha sponsorizzato una ricerca di oltre 300 pagine, il Climate Vulnerability Monitor: A Guide To The Cold Calculus Of A Hot Planet , realizzato da diversi scienziati a cura del centro ricerche europeo Dara che lavora per migliorare l’efficacia dell’aiuto alle popolazioni colpite da conflitti, disastri e caos climatico. Un «business» in crescita… per il quale ci saranno sempre meno soldi.
La ricerca – la seconda di Dara, dopo quella del 2010 – cade in un anno di eventi estremi: siccità  gravi nell’Africa dell’Est, dell’Ovest e negli Usa, piogge pesantissime in India del Nord e nelle Filippine, temperature record negli Usa e in Europa (anche Orientale), ritiro senza precedenti del ghiaccio in Artico ecc.
Eppure nella pratica i governi non appartenenti a quel Forum continuano a ignorare di fatto quest’urgenza assoluta. Anche la campagna elettorale statunitense la tiene al margine. Perfino molti agricoltori negli States continuano a non considerare la loro rovina come conseguenza di un’economia mondiale ad alte emissioni in cui essi sono carnefici e vittime.
Eppure, come ha riconosciuto Connie Hedegaard, responsabile climatica dell’Unione Europea, il caos è la normalità  ormai; è qui, vive con noi. E uccide. Secondo il rapporto di Dara, nei prossimi due decenni potrebbe esigere un tributo di vite pari a cento milioni di persone. Quindi cinque milioni all’anno. Concentrati per il 90% nei paesi poveri (e meno responsabili).
Questo se non si fa nulla.
Una tale ecatombe potrebbe sembrare una stima esagerata e forse lo è, ma meglio non minimizzare. Gli effetti del caos climatico sono e saranno multisettoriali. Lo studio confronta l’enorme aumento del consumo di combustibili fossili previsto per i prossimi decenni, con il suo altrettanto enorme costo umano e ambientale.
I cambiamenti climatici porteranno più crisi agricole e dunque più fame, con relativa mortalità  per malattie e debolezza, e meno acqua pulita (idem). Altre persone moriranno per l’inquinamento atmosferico, altre di malattie della pelle, altre ancora saranno sterminate dal degrado della biodiversità  e delle foreste.
Chi preferisce calcolare in termini economici, dovrà  prevedere una perdita di 500 miliardi di dollari all’anno per la sola crisi dell’agricoltura e della pesca, con grandi danni per i milioni di persone che, nel Sud del mondo soprattutto, ne dipendono.
Il tutto mentre 1,3 miliardi di persone si trovano già  in situazioni di povertà  estrema e le economie ricche si dibattono nella crisi finanziaria ed economica. I paesi a basso reddito perderanno fino all’11% del prodotto interno lordo (l’India il 5%). E la Cina in 20 anni perderà  1,2 trilioni di dollari.
Nel 2009 Oxfam International indicava che 6.500 disastri climatici erano stati registrati a partire dal 1980 e che la quantità  di danneggiati dagli eventi estremi, raddoppiata in soli 30 anni, sarebbe arrivata a 375 milioni di persone all’anno in media intorno al 2015.
Ma ovunque e non solo nel Sud i disastri saranno molto più onerosi dei costi delle azioni da intraprendere. Per questo lo studio fin dal titolo sottolinea come perfino limitandosi a un freddo calcolo monetario, converrebbe agire e di corsa, a livello globale e regionale.

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