Tunisi, la beffa dell’imam in fuga vestito da donna

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TUNISI — Era poco dopo mezzogiorno quando il muezzin della moschea di Fatah ha chiamato i fedeli all’Adhohr, la preghiera più frequentata dai commercianti e dagli impiegati di rue de la Liberté, il cuore commerciale di Tunisi. L’ingresso della moschea si è improvvisamente animato: un gruppo di giovani in galabie bianche e marroni sono entrati veloci facendo ala al loro leader Abou Iyadh, l’uomo che la polizia tunisina cerca da giorni, considerandolo il responsabile delle violenze contro l’ambasciata americana (responsabilità  che lui addossa invece al governo, colpevole, afferma, di incompetenza e di fare “giochi politici” sporchi).
Il leader salafita non sembra molto preoccupato della “caccia all’uomo” lanciata contro di lui. Domenica si era presentato al cimitero di El Yallaz per assistere alla sepoltura di una delle vittime degli scontri, sebbene il cimitero fosse presidiato dalla polizia coadiuvata da elicotteri. La stessa scena si è ripetuta ieri alla moschea di Fatah dove Abou Iyadh ha tenuto il sermone rinnovando le accuse al governo. Il ministro degli Interni deve dimettersi, ha detto, la nostra era una marcia pacifica che è stata manipolata da giochi politici.
Mentre Abou Iyadh parlava, intorno alla moschea sono arrivate un migliaio di forze speciali in tenuta d’assalto, ma poco prima che il sermone finisse, i poliziotti sono indietreggiati di una decina di metri, continuando a circondare la moschea a distanza. Finita la preghiera con un altro veloce sbattere di sottane i fedeli di Abou Iyadh sono usciti e i poliziotti sono corsi ad arrestarlo. Ma lui anche questa volta era sparito, e nella maniera più classica adottata da tutti i ricercati nel mondo musulmano: infilandosi un niqab e uscendo dalla porta riservata alle donne. Un’ennesima beffa al governo che con difficoltà  cerca di difendersi dalle accuse di incapacità . Ennahda, il partito islamico che ha vinto le elezioni e che ora dovrebbe scrivere la nuova Costituzione della Tunisia, ha messo, dice la gente delusa, i ministeri in mano a esuli che erano stati in passato cacciati da Ben Ali e che mancano di qualsiasi competenza amministrativa. Gli stessi sindacati della polizia e della Guardia nazionale hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta sulla “strategia sbagliata” adottata dalle forze dell’ordine venerdì scorso mentre l’ambasciatore americano Jacob Walles, che ieri mattina è rientrato nella sede diplomatica, ha ricordato al ministro degli Esteri Abdelsalem gli obblighi sanciti dalla Convenzione di Ginevra.
La gente che è venuta a pregare alla moschea di Fatah, anche quando non condivide i toni accesi di Abou Iyadh, è stupita che il mondo non capisca quanto il famigerato video su Maometto provochi sdegno. «A un musulmano puoi toglierli il pane ma non il rispetto per la religione» dice un signore che pur essendo venuto per la preghiera, visto il dispiegamento di polizia, ha deciso di tornare a pregare nella quiete del suo ufficio. «I radicali sono una minoranza, ma lo sdegno è comune». Sul carro delle proteste antivideo sono saltati tutti, per prima Al Qaeda e per ultimo ieri il capo di Hezbollah Nasrallah, che prima di far sentire la propria voce aveva aspettato che il Papa lasciasse Beirut. I legami troppo prolungati con Assad hanno indebolito Hezbollah e le proteste arrivano anche per Nasrallah al momento giusto. Il fuoco acceso dal video ha raggiunto ieri anche l’Afghanistan, dove ci sono state decine di feriti, auto e botteghe bruciate, e il Pakistan che pure aveva tentato di vietare nel paese l’accesso al video su You Tube. I benefici del famoso discorso di Obama al Cairo del 2009 sono evaporati. Dalla moschea di Fatah è uscito, dentro un gruppetto di facinorosi che ha subito spaccato il telefonino di un passante che faceva un foto, un tipo in maglietta nera con su scritto Al Qaeda e la riproduzione di un aereo. Sembra che le magliette siano in vendita al mercato.


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