Todorov: “Populisti e messianici quei nemici intimi della civiltà  occidentale”

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«Popolo, libertà  e progresso sono fondamenti della democrazia, che però, quando alimentano populismo, ultraliberalismo e messianismo, possono diventare una minaccia per la democrazia stessa». E’ questo il grido d’allarme lanciato da Tzvetan Todorov nel suo nuovo saggio, I nemici intimi della democrazia (Garzanti): alternando prospettiva storica e riflessione teorica, analizza minuziosamente le derive e le contraddizioni che rischiano di minare dall’interno il funzionamento del nostro sistema politico.
Lo studioso francese di origine bulgara parte dalla constatazione che oggi la democrazia non rischia più di essere rimessa in discussione dai suoi tradizionali nemici esterni, vale a dire il fascismo o il comunismo. «Anche se dopo l’11 settembre, c’è chi ha cercato di trasformare l’islam in un nemico globale della democrazia, in realtà  per i sistemi democratici le minacce esterne non sono più un pericolo reale», spiega Todorov, che venerdì 21 sarà  presente a “Pordenonelegge”. «Oggi, i veri pericoli provengono dall’interno della democrazia stessa, da quelli che ho chiamato “nemici intimi”, forme di perversione o di stravolgimento di alcuni dei suoi principi di base. Il populismo, l’ultraliberalismo o il messianismo non sono il contrario di ciò cui aspira la democrazia, ma il risultato della dismisura di alcuni elementi – popolo, libertà  e progresso – che la costituiscono. Tale dismisura è diventata possibile perché, soprattutto nel XX secolo, sono venute meno le limitazioni reciproche cui questi elementi erano sottoposti».
Nella forma classica della democrazia liberale, interessi collettivi e interessi individuali devono sempre equilibrarsi?
«Il liberalismo classico, da Locke a Montesquieu, ha proclamato la libertà  degli individui, ma senza mai immaginarla come una libertà  illimitata. Come ricordava Burke, la libertà  nello spazio pubblico diventa sempre un potere. Per i pensatori del liberalismo, ogni potere senza limiti è un pericolo. Chi ha un potere cerca di espanderlo e la tentazione della tirannia è inerente al comportamento umano. Di conseguenza, per il buon funzionamento dello Stato, i poteri devono limitarsi e controbilanciarsi a vicenda. Solo così si evita il rischio del dispotismo».
Quest’equilibrio sarebbe il cuore della democrazia?
«Esattamente. La democrazia non è caratterizzata dal dominio di un principio unico, ma dall’equilibrio tra diversi principi. Quando questo viene a mancare, si rischiano derive inquietanti. Il caso più evidente è quello dell’ultraliberalismo, frutto di un’esasperazione smisurata del giusto principio della libertà ».
La libertà  va limitata?
«Da sempre, gli uomini avanzano rivendicazioni di libertà  individuale ma anche di appartenenza collettiva. Bene comune e bene individuale non vanno però sempre nella stessa direzione. La democrazia, grazie alla sua natura mista, si sforza di preservarli entrambi. In passato, le cosiddette democrazie popolari – che ho conosciuto da giovane in Bulgaria – in nome dell’interesse collettivo, non lasciavano alcuna libertà  all’individuo. Oggi le democrazie corrono il rischio contrario, vale a dire la tirannia dell’individuo che, in nome di una libertà  assoluta e smisurata, sottomette tutta la vita sociale al dominio di un’economica regolata esclusivamente dalle leggi del mercato. In questa prospettiva, si postula l’assenza di ogni controllo della società  e della politica sulle forze individuali dell’economia. E talvolta si arriva persino al neoliberalismo di Stato, che è una mostruosa combinazione nella quale la funzione dello Stato diventa quella di smantellare lo Stato stesso e d’impedire qualsiasi controllo della società  sull’attività  degli individui».
Il primato dell’individuo rifiuta di prendere in considerazione l’interesse collettivo?
«Sì, ma anche quando la società  prova a occuparsi del bene comune, la mondializzazione dell’economia spesso le sottrae ogni possibilità  d’intervento. Lo si vede oggi in Francia, dove Hollande fa fatica a concretizzare le promesse elettorali, scoprendo di avere un margine di manovra molto limitato. Di fronte al potere dell’economia, il potere politico si ritrova impotente. E le democrazie rischiano di trasformarsi in oligarchie dirette dai pochi che controllano il potere economico».
Il messianismo è il rischio che corre la democrazia quando, considerandosi superiore, pensa di dover intervenire per imporre agli altri i propri principi. E’ così?
«Il messianismo politico è una forma di hubris che si è impossessata degli uomini ai tempi dell’Illuminismo, distorcendo l’esigenza del progresso. Il colonialismo, con la sua pretesa d’imporre ai popoli selvaggi una civiltà  considerata superiore nasceva da questa prospettiva. Anche la società  ideale del comunismo era una sorta di messianismo. Oggi siamo in una nuova fase, caratterizzata da guerre che intendono portare il bene ad altri popoli. E’ un atteggiamento messianico che ricorda il periodo coloniale. Come allora, crediamo ingenuamente nella superiorità  della democrazia, al punto che consideriamo giusto e legittimo imporla anche agli altri attraverso guerre asimmetriche, le cui vittime sono soprattutto le popolazioni civili. Tutto ciò non fa altro che indebolire la democrazia».
Un altro nemico “intimo” della democrazia è il populismo…
«Il populismo non si manifesta solo attraverso la xenofobia e il razzismo. E’ infatti presente ogni volta che si pretende di trovare soluzioni semplici per problemi complessi, proponendo ricette miracolose all’attenzione distratta di chi non ha il tempo di approfondire. Il populismo può essere sia di destra che di sinistra, ma propone sempre soluzioni immediate che non tengono conto delle conseguenze a lungo termine. Il populismo preferisce le semplificazioni e le generalizzazioni, sfrutta la paura e l’insicurezza, fa appello al popolo, cortocircuitando le istituzioni. Ma la democrazia non è un’assemblea permanente né un sondaggio continuo».
Certi comportamenti dei politici non approfondiscono il fosso che li separa dalla società ?
«E’ sempre stato così, perché l’uomo di potere non fa più la stessa vita dell’uomo della strada. Dimentica le critiche passate per approfittare della posizione conquistata. A ciò oggi si aggiunge il problema della “spersonalizzazione” del potere. In passato, le forme del potere erano più facilmente identificabili, era quindi possibile rivoltarsi contro un avversario visibile. Con la mondializzazione, il potere economico è diventato un potere diffuso, sfuggente, impersonale. Non si sa più come agire, contro chi rivoltarsi. Ci si sente impotenti. Il che spiega una certa disillusione nei confronti della democrazia».
La condivide?
«Io sono convinto che la democrazia abbia ancora la possibilità  d’intervenire almeno in parte sulla realtà . I partiti e i loro programmi non sono tutti uguali, e con il voto è possibile determinare alcune scelte collettive sul piano dell’economia e della società ».
I cittadini hanno spesso l’impressione di contare di più attraverso le iniziative di base che attraverso i rituali della democrazia. Che ne pensa?
«La democrazia ha forse perduto una parte del suo potere d’attrazione, ma attraverso i suoi meccanismi conferisce ancora molto potere, anche se i risultati sono meno visibili che in passato. Sebbene indebolito, il potere dello Stato resta importante. E’ un potere che va esercitato, votando, controllando. La democrazia non si esaurisce in una sola forma di partecipazione. Il suffragio universale è certo un principio fondamentale, ma è solo un elemento tra molti altri. Ecco perché la moltiplicazione dei livelli d’impegno nella vita pubblica è un segno della vitalità  della democrazia».


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