Stato-mafia, il governo per ora non è parte civile

by Sergio Segio | 18 Settembre 2012 8:00

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ROMA — È scontro tra Di Pietro e il governo sull’inchiesta Statomafia. Volano parole pesanti. Il leader Idv accusa l’esecutivo di «favoreggiamento personale» per non essersi ancora costituito parte civile nel processo sulla trattativa. Palazzo Chigi, il sottosegretario ai Rapporti col Parlamento Antonio Malaschini, replica che «c’è ancora tempo», «gli atti non sono ancora arrivati, ma ci sono solo notizie giornalistiche » e comunque «non c’è alcuna preclusione» a non farlo. A Montecitorio, dove Malaschini risponde a una mozione di Di Pietro, il clima si scalda.
Per una coincidenza, l’indagine siciliana era già  rimbalzata a Roma di prima mattina per via della richiesta del pm Nino Di Matteo, durante l’udienza del processo Mori-Obinu per favoreggiamento a Cosa nostra, di acquisire una delle ben note intercettazioni tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio, l’ex consigliere giuridico di Napolitano scomparso il 26 luglio. Conversazione del 25 novembre 2011, in cui i due parlano della nomina di Francesco Di Maggio alla vice direzione delle carceri. Telefonata utile per chiarire la questione dei mafiosi detenuti cui non fu rinnovato il regime del 41bis.
Di Matteo vuole acquisire pure due telefonate dell’ex capitano Giuseppe De Donno, una a Marcello Dell’Utri, per congratularsi della decisione della Cassazione sul suo processo e l’altra con Mori sulla trattativa. Ma a incuriosire la politica è soprattutto la prima richiesta, il colloquio Mancino- D’Ambrosio, per il legame con il Quirinale, in particolare alla vigilia della prima camera di consiglio della Consulta sul ricorso del Colle contro Palermo in cui il sì all’ammissibilità  è scontato.
Sull’onda di questo rinnovato allarme ecco che matura la dura contrapposizione tra Di Pietro e Malaschini. Il primo sollecita il governo a costituirsi immediatamente parte civile. Il secondo replica che il governo non ha deciso solo perché non è ancora in possesso delle carte processuali. «Nessuna preclusione» a farlo, anche se l’atto dovesse superare l’udienza preliminare che parte il 29 ottobre. Malaschini parla «di aspetti e scelte di natura prettamente tecnica» impossibili senza gli atti. Di Pietro s’infuria, se il governo non dovesse costituirsi «questo potrebbe chiamarsi reato di favoreggiamento personale ». Vede nel governo «reticenza, ignoranza tecnica, un volersi lavare pilatescamente le mani». Afferma che le carte sono in rete e «basta un clic per leggerle». Accusa palazzo Chigi «d’incompetenza e incapacità , se non addirittura di contiguità  con le persone chiamate a rispondere di questa vicenda». Per concludere: «L’esecutivo si mette contro la giustizia per favorire le persone che rappresentano lo Stato in quel processo».
Da Palermo, ad “assolvere” il governo, è proprio il procuratore Francesco Messineo che vede solo «un fatto oggettivo» perché «se non conoscono gli atti non possono procedere alla costituzione di parte civile». Aggiunge Francesco Del Bene, uno dei pm del processo, che «il governo, non avendo gli atti, non può nemmeno analizzare la questione». Lui non vede «nulla di strano» solo un ritardo nella notifica del gip. La politica si divide. Il Pd, con Laura Garavini, è due volte contro Di Pietro: «Insinua ad arte il dubbio che il governo non è interessato a trovare la verità » e ignora il lavoro della commissione Antimafia «dopo averla abbandonata. I finiani Granata, Lo Presti e Di Biagio invitano il governo a costituirsi parte civile ad horas.

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