“Sommersa nel 2050” Così il grande disgelo minaccia New York
NEW YORK. Accadeva un anno e 2 settimane fa: cessato allarme, l’uragano Irene aveva risparmiato New York. Ce l’eravamo cavata con assalti ai supermercati per le scorte d’emergenza, 370.000 evacuati, migliaia di voli cancellati e tanti turisti bloccati qui alla fine delle vacanze. Ma era stata più la paura del danno. Qualcuno aveva perfino accusato il sindaco Michael Bloomberg di allarmismo. E invece no: il 28 agosto 2011 abbiamo sfiorato un disastro immane. E il futuro
ne ha altri in serbo, Manhattan è una vittima pre-destinata del cambiamento climatico, una delle metropoli più vulnerabili all’innalzamento delle acque. Oggi si scopre che per soli 30 centimetri l’uragano Irene non paralizzò completamente il sistema dei trasporti. Bastava una marea un po’ più alta per «rendere inservibili i tunnel della metropolitana sotto i fiumi Harlem e East River, chiudendo quelle linee per oltre un mese, con un danno di 55 miliardi». Sarebbero state sommerse anche le tangenziali della Franklin Roosevelt Drive e quella che costeggia il fiume Hudson. I treni dei pendolari bloccati sine die, anche loro. Una paralisi quasi “da 11 settembre”, nella capitale finanziaria degli Stati Uniti. Lo rivela un rapporto consegnato al sindaco da un’équipe di scienziati del Columbia University Earth Institute sotto la direzione di Klaus Jacob. Fa parte di una serie di studi commissionati subito dopo Irene, e che ora stanno arrivando sulla scrivania di Bloomberg. Le conclusioni sono drammatiche.
Le acque che bagnano l’isola di Manhattan nonché Brooklyn, Queens, il Bronx, si sono alzate di 3 centimetri ogni 10 anni nell’ultimo secolo ma ora la velocità d’innalzamento sta crescendo: entro il 2050 saranno più alte di 60 centimetri. Non ci sarà bisogno di un uragano tropicale come Irene, basteranno normali temporali per allagare e paralizzare interi quartieri. E quando il livello dell’oceano sarà salito di 120 centimetri (entro il 2080) oltre un terzo della metropoli sarà soggetta a inondazioni costanti. New York è seconda solo a New Orleans per il rischio-marea.
Duecentomila newyorchesi vivono in zone vulnerabili, meno di un metro al di sopra dell’alta marea. I preparativi per adeguare la metropoli sono inadeguati. «Manca un senso di urgenza », ha dichiarato al New York Times l’ingegnere Douglas Hill, uno degli esperti consultati dal sindaco dopo Irene. Eppure l’amministrazione municipale non è inerte. Bloomberg, che è un noto ambientalista (finanzia con il suo patrimonio il Sierra Club, potente ong “verde”), ha varato una serie di misure post-Irene. Sono state allargate le lagune naturali che servono da “serbatoi di contenimento” delle maree; sono stati moltiplicati i “tetti verdi”, giardini pensili che potenziano l’assorbimento delle acque piovane; nuovi regolamenti comunali vietano di tenere nelle cantine le caldaie e i serbatoi per il riscaldamento. Una delle accuse degli esperti è che l’attenzione si concentra sulla punta meridionale di Manhattan, dove le inondazioni danneggerebbero Wall Street. Ma rischi superiori sono nelle aree industriali del Bronx e di Brooklyn: lì i danni colpirebbero impianti chimici, depositi di carburanti, centri di smistamento dell’immondizia, con effetti tremendi per l’inquinamento. Altre città americane sono più avanti di New York nella prevenzione delle inondazioni da cambiamento climatico. San Francisco, Chicago, Charlotte, oltre a sperimentare nuovi tipi di asfalto poroso che accelerano lo scolo delle acque (il materiale è usato soprattutto nelle piste ciclabi-li), hanno anche cominciato a espropriare terreni edificabili e a vietare nuove costruzioni nelle aree vicine a mari, fiumi, laghi. Questo è un tabù che Bloomberg ancora non osa affrontare. Gli espropri forzati sarebbero ben più impopolari e costosi in una metropoli di 8,5 milioni di abitanti. Tanto più che New York si appresta a ricevere, secondo le proiezioni sui flussi migratori, un altro milione di abitanti entro i prossimi vent’anni. Vittime predestinate, e ignare, dell’apocalisse ambientale in agguato.
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