by Sergio Segio | 6 Settembre 2012 7:30
GERUSALEMME. Solo l’intervento di un agente della sicurezza e di alcuni passanti ha impedito che Khaled Abu Rabee, un profugo disoccupato 42enne di al Fawar, si immolasse come ha fatto a Gaza Ihab Abu Nada, morto domenica scorsa dopo essersi dato fuoco perché non riusciva a trovare un lavoro. Abu Rabee lavorava nella polizia dell’Anp. Arrestato dagli israeliani ha trascorso tre anni in carcere. Una volta liberato ha fatto il taxista e il venditore ambulante, senza mai riuscire a raggiungere il reddito necessario per mantenere dieci figli. Alla fine è crollato e ha cercato davanti al palazzo del comune di Dura di imitare il gesto di Ihab Abu Nada. È stato fermato in tempo. Non sono atti isolati, rientrano in un contesto di rabbia e disperazione sempre più ampio. Le fiamme della protesta sociale si stanno alzando ovunque in Cisgiordania. Da Hebron, dove due giorni fa tremila persone hanno attraversato in corteo il centro della città , sono arrivate a Jenin, da Ramallah la protesta ha raggiunto Betlemme. Oggi sono previste nuove manifestazioni.
Fiamme che divorano anche le foto del premier Salam Fayyad, un liberista sostenitore del rigore e dei «conti in ordine» in un territorio dove nulla è in ordine e l’economia è soffocata dall’occupazione militare israeliana. Fayyad aveva lanciato un piano che avrebbe dovuto portare crescita, occupazione e una riduzione del carico fiscale sulle famiglie. Il risultato al momento è un aumento vertiginoso delle tasse e dei prezzi nei centri urbani, unito a una impennata della disoccupazione destinata ad aggravarsi dopo la decisione presa dal governo Fayyad di bloccare (per mancanza di fondi) le nuove assunzioni nell’Autorità nazionale palestinese.
Tariffe e prezzi per gran parte delle famiglie della Cisgiordania sono insopportabili. Quando il mese scorso, in via eccezionale, le autorità israeliane hanno rilasciato decine di migliaia di permessi d’ingresso ai residenti della Cisgiordania, in occasione della festività islamica del Eid al Fitr, i palestinesi si sono resi conto che i prezzi nelle loro città , in non pochi casi, sono superiori persino a quelli in Israele. Un dato figlio dell’occupazione militare ma anche delle speculazioni dei grossisti palestinesi che giocano sulle quantità delle merci che entrano in Cisgiordania da Israele e dalla Giordania.
La benzina ha raggiunto il record storico di 8 shekel al litro (1.6 euro), meno che in Italia ma tre-quattro volte di più che a Gaza, in Egitto e Giordania. Elettricità e acqua e i generi alimentari hanno subito un aumento fino al 20% rispetto agli ultimi due anni. L’Anp non riesce a controllare l’inflazione, anche perché il Protocollo di Parigi che ha firmato a metà degli anni ’90 mette l’economia palestinese sotto il pieno controllo israeliano. A ciò si aggiunge il deficit delle finanze dell’Anp. Questi problemi potrebbero questa mattina rientrare nei temi in discussione a Ramallah tra il ministro degli esteri Giulio Terzi, il suo omologo palestinese Riad Malki e il premier Fayyad. L’Italia sembra avere ben poco da offrire ai palestinesi. Cosa ben diversa sono i rapporti con gli alleati israeliani. «È un’alta priorità della politica estera italiana continuare a incrementare le relazioni già intense con Israele, non solo politiche ma anche economiche e culturali», ha detto ieri Terzi durante la sua visita ufficiale a Gerusalemme.
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