“Se la Bce diventa il direttorio segreto che governa l’Europa”

by Sergio Segio | 10 Settembre 2012 7:16

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Andiamo per ordine. La Germania nei fatti ha perso, e fuori dalla Germania si dovrebbe capire, che la preoccupazione dei tedeschi ha profonde ragioni storiche. Se in Germania la paura che l’unione monetaria si trasformi in un’unione del trasferimento delle risorse è molto più grande che altrove, ciò non ha a che fare, o almeno non in primo luogo, con una volontà  dei ricchi tedeschi di tenersi i loro soldi o con una loro non disponibilità  alla solidarietà  con gli altri Stati della Ue. I sondaggi mostrano chiaramente che
la maggioranza dei tedeschi non è assolutamente contro aiuti per stati della Ue in difficoltà . Jacques Delors, ex presidente della Commissione, ha detto una volta: «Non tutti i tedeschi credono in Dio, ma tutti i tedeschi credono alla Bundesbank». C’è un po’ di verità  in queste parole: l’indipendenza è un grande valore cui i tedeschi tengono molto, se non qualcosa di sacro. Ciò ha a che fare con un’esperienza fondamentale del popolo tedesco nel ventesimo secolo. Per due volte, in appena tre decenni, visse un’iperinflazione che strappò ogni base d’esistenza alla maggioranza della popolazione, e tolse ogni valore ai frutti del loro lavoro. Da allora, la stabilità  della moneta in Germania è un valore di rango quasi sacrale (e come è nella loro natura, i tedeschi anche su questo tendono ad esagerare e a impartire lezioni).
Mai più, auspica la maggioranza dei tedeschi, deve essere possibile causare calamità  con la politica monetaria. Il timore e i suoi motivi sono entrambi giustificati, e se fosse altrimenti mancherebbe qualcosa all’Europa.
La decisione della Bce di comprare titoli sovrani senza limiti, di per sé non è un passo verso un inferno di trasferimento di risorse, nel quale l’euro andrebbe a fuoco. Ma questa decisione rende più facile l’abuso. Angela Merkel, mossa dalla Realpolitik, è stata così
saggia da non aprire un confronto. Ha persino definito la scelta della Bce compatibile con la sua filosofia europea. Dopo la decisione, ha detto: «La condizionalità  è un punto importante; controllo e aiuto vanno di pari passo». Vuol dire: siamo arrivati esattamente a quanto io volevo sin dall’inizio della crisi finanziaria e dell’euro: niente trasferimenti di risorse incondizionati e incontrollabili, bensì aiuto solo quando esso è legato a condizioni. Il Paese che riceve aiuto deve sottoporsi a sforzi di riforma che siano verificabili.
L’Europa è da tempo un continente della pace. Non è dunque all’altezza dei tempi descrivere i confronti in corso sull’euro con concetti bellici. Non è in corso una guerra tra due eserciti, quello tedesco contro quello degli altri Stati dell’unione. Si dovrebbe parlare piuttosto di un balletto, condotto
— per citare due protagonisti — da Mario Draghi e Angela Merkel. Entrambi non pensano a una vittoria o a una sconfitta, ciascuno dei due può sostenere di avere con sé una parte della verità . Perché l’euro non cada, è necessario aiutare e controllare. È bene che entrambi i principi abbiano chi li difende, è bene che la lotta tra i due principi sia condotta pubblicamente. In tal modo si può sperare che il desiderio dell’uno, aiutare, sia tenuto in conto nella stessa misura del desiderio dell’altro, cioè la cautela frenante. Si potrebbe quasi dire che una mezza vittoria di Draghi e una mezza vittoria di Merkel, sommate, potrebbero dare il risultato d’una vittoria piena dell’unione monetaria.
Eppure i pericoli non possono essere ignorati. Vanno tutti nella stessa direzione: la de-democratizzazione dell’Europa. Mario
Draghi, affrontando l’emergenza, ha usato un’espressione infelice: “l’euro è irreversibile”. Simili parole bibliche dovrebbero essere evitate in Stati democratici, che vivono del principio della reversibilità  e della possibilità  di rivedere scelte precedenti. Non fu giusto che il grande Helmut Kohl definisse irreversibile il processo di unione europea. E altrettanto inesatte sono le parole di Angela Merkel quando parla al popolo sovrano di politica “senza alternative”. Ciò vale ancor di più per la frase di Draghi. Forse capi di governo eletti possono rifugiarsi, in situazioni d’emergenza, in simili parole, ma il presidente di una Banca centrale, che non è stato eletto da nessun popolo sovrano, no. Il fatto che invece lo faccia chiarisce quanto probabilmente comincia a cambiare nell’architettura dell’unione monetaria e della Ue. La Bce
comincia ad assumere i connotati di un Direttorio europeo. Potrebbe divenire la governatrice segreta dell’Europa. È allarmante, che una persona cauta e difficilmente scrutabile come Draghi, il cui volto ricorda un po’ condottieri e papi del Rinascimento, dichiari “abbiamo sviluppato un percorso per i governi”. Parla, come detto, per l’emergenza: qualcosa deve succedere presto, ed egli vuole che la Bce aiuti nel processo. Ma non è compito di Draghi costruire per i governi degli Stati dell’Unione monetaria.
Se la Bce agisce come sta facendo, allora agisce come se l’Europa o almeno l’Unione monetaria fosse già  costruita come completa e autosufficiente unità  politica, come se l’Europa fosse già  qualcosa di costituzionalmente e politicamente costruito, e non già  un’associazione, come se fosse un’entità 
comune, uno Stato federale integrato. In tal modo però la Bce si riferisce e si appoggia a qualcosa che non esiste ancora e — chi sa — forse non esisterà  mai. Ciò è captazione del potere. La tendenza alla sospensione delle procedure
democratiche è innegabile, da quando in almeno due Stati dell’Unione monetaria, la Grecia e l’Italia, due governi si sono dovuti dimettere, non perché lo volesse il popolo sovrano, ma perché la Ue lo ha imposto. È solo un esempio dei molti esempi di come
la furia della crisi finanziaria abbia l’effetto dello svuotamento delle procedure democratiche. Ciò può piacere ad alcuni tecnocrati, ma non si addice a una comunità  che deve essere nella condizione di dibattere e dividersi in pubblico su temi difficili e dolorosi. Adesso lei, Angela Merkel, scusandosi, può affermare che l’assenza di alternative non viene più da lei ma dalla grande Bce. Il Direttorio, con le migliori intenzioni, ha vinto.
Veloce e imperturbabile, Angela Merkel si è adattata alla nuova situazione dopo la scelta di giovedì della Bce. Le è stato possibile perché da tempo lei si preparava a tanto. Sa che dall’elezione di Hollande a presidente lei è isolata. Un proverbio tedesco dice: chi è saggio cede. Lei non cede per arrendersi, ma perché ha l’intenzione di riuscire forse ancora a voltare
pagina, in modo duttile. La Germania è la prima potenza economica europea, e ha capito che deve raggiungere tale peso anche in politica. Lo sa la cancelliera, e lo sa anche Mario Draghi: non si può salvare l’euro alle spalle della Germania, ma solo con la Germania.
Non si può dire in modo più chiaro che i tempi di Helmut Kohl, in cui la Germania era pronta ad adattarsi a un basso profilo politico in nome dell’integrazione europea, sono finiti. Anche dopo il giovedì di Draghi la Germania è sulla scena politica europea un “player” pronto all’aiuto, alla solidarietà  e alla cooperazione collegiale, ma è anche cosciente della sua forza, e padroneggia il gioco degli intrighi non meno bene dei maestri mediterranei della duttilità  politica.
L’autore è direttore di Die Welt

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