Schierati o non allineati sindaci scettici sulle primarie

by Sergio Segio | 29 Settembre 2012 7:50

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LA ROGNA di questa baldoria finirà  per ricadere su tutti, dice Salvatore Adduce sindaco di Matera, 57 anni, politico di professione e dalemiano di lungo corso in una regione, la Basilicata, dove tutti nel Pd a domanda oggi rispondono: Bersani.
«IO SONO pronto a ritirarmi, se serve: non c’è nulla di male nell’andare in pensione. A un certo punto, anzi, si deve». È un giro d’orizzonte fra sindaci e amministratori locali del centrosinistra, questo, che riserva qualche sorpresa. Tra chi fa politica misurandosi coi fatti trovi sindaci dell’ortodossia Pci pronti a farsi da parte, sindaci usciti dalle primarie che chiedono un Monti bis, amministratori del sud desolati dallo scontro di potere interno al partito. Nello scontro vacilla l’Emilia, roccaforte del segretario: è sempre più lunga la lista di quelli che guardano a Renzi. Nella città  di Bersani il sindaco è Paolo Dosi, che ha sconfitto alle primarie il candidato proposto da Migliavacca, l’ex Ds Francesco Cacciatore. Dosi, area cattolica, è delfino di Roberto Reggi, ex sindaco di Piacenza e oggi capo dello staff di Matteo Renzi. A Renzi hanno dato sostegno esplicito il sindaco di Finale Emilia, comune terremotato, Fernando Ferioli; il capogruppo Pd in consiglio comunale a Parma Nicola Dall’Olio; il modenese Matteo Richetti presidente del consiglio regionale emiliano; il sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci Graziano

Del Rio. Un certo smottamento si avverte a Ravenna (il sindaco Fabrizio Matteucci sente forte “la richiesta di rinnovamento”), a Cesena e a Forlì. Roberto Balzani, attuale sindaco di Forlì, è un docente universitario eletto dopo aver sconfitto da outsider alle primarie la candidata sostenuta dal partito, Nadia Masini. Ha appena pubblicato col Mulino un libro, “Cinque anni di solitudine. Memorie inutili di un sindaco”. Non ha sciolto la riserva su Renzi, «al momento voterei scheda bianca, spero in un Monti bis. Conosco l’ancien regime di partito: c’è un blocco di ricambio da rompere ». Racconta a titolo d’esempio l’istruttiva vicenda dell’aeroporto di Forlì. Costruito negli anni ’30 da Mussolini «quando voleva trasformare i romagnoli in aviatori». La società  che lo gestisce in concessione dall’Enac, la Seaf, è partecipata al 49 per cento dal comune. «Ci sono nel raggio di mezz’ora altri due aeroporti: Bologna e Rimini. Per mantenere aperto quello di Forlì si è fatto un accordo con la Wind Jet di Pulvirenti. Un certo numero di biglietti prepagati in cambio del mantenimento dello scalo. Così abbiamo comprato una montagna di biglietti per la Polonia e per la Russia, voli naturalmente vuoti. Poi Wind Jet è fallita. Il comune ha avuto perdite mostruose, 5 milioni di euro nel 2010. Seaf è un centro di potere che serve anche a ricollocare la vecchia classe dirigente. L’ultimo presidente è l’ex sindaco della città ». Un andazzo, commenta Graziano Delrio sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci, destinato a finire. «Si è militarizzato il primo livello ma non il secondo. Un quarto dei sindaci italiani hanno meno di 35 anni, moltissimi sono stati eletti nelle liste civiche anche a centrosinistra. Si sentono liberi». Delrio respinge come “velina di apparato” la notizia che lo vorrebbe sostenitore di una legge in favore di Renzi: l’abolizione della norma secondo cui sei mesi prima delle elezioni chi si presenta deve dimettersi da sindaco. «Una proposta presentata più volte da chi mi ha preceduto. Non riguarda Renzi, tra l’altro: non si sta candidando in Parlamento».
Sta con Bersani Salvatore Adduce, sindaco di Matera. A 17 anni segretario della Fgci, migliorista quando Ranieri era segretario della federazione regionale della Basilicata, poi dalemiano. Per 15 anni presidente della lega Coop. «La più grande corrente del Pd è quella che non esiste: quella di D’Alema», ride. Poi ricorda che quando il suo leader era al governo «facemmo l’accordo sul petrolio, i fondi sarebbero andati a finanziare il piano di mobilità  per collegare Matera alla rete ferroviaria nazionale. E’ arrivato Berlusconi e si è fermato tutto, anche il treno». Ad agosto Adduce ha sciolto la sua giunta «fatta a regola d’arte con manuale Cencelli» fra Pd, Idv, lista civica, Sel, Udc e socialisti. «Era paralizzata dalla litigiosità  interna. Ho messo dentro tre tecnici. Ho voluto dare un segno. Non si può più andare avanti se ciascuno usa il governo per costruire il consenso. La mia generazione, lo so, è l’ultima di un ciclo».
E’ donna di partito anche Ilda Curti, 48 anni, assessore a Urbanistica Integrazione e Periferie del comune di Torino. «Una donna del Novecento», dice di sè, cresciuta nell’ultima leva del Pci. Fa parte della rete di Pippo Civati “Prossima Italia”, guarda con interesse alla candidatura di Laura Puppato. «Ma non mi metto nelle tifoserie senza sapere qual è il gioco. Dei leaderismi diffido. Queste sono, per ora, primarie in supplenza di congresso. C’è una distanza siderale dalle cose. Qui abbiamo bisogno di risposte concrete: possiamo o no dare la cittadinanza ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri? Questo serve, non fare la conta».
Una conta oltretutto inutile a governare, dice Guglielmo Minervini. Assessore Pd nella giunta Vendola, cattolico con don Tonino Bello, dirigente di Pax Christi, fondatore delle edizioni la Meridiana. Tra i più votati nel Pd nel 2010. Siede in piazza, a Bari, tutti si fermano. «Viviamo uno scorcio di presente che fatica a morire. La riforma in senso proporzionale segnerà  un ulteriore indebolimento della politica. La sera delle elezioni scopriremo di non avere un governo. La riforma conviene all’Udc e a quella parte del Pd che ha in mente l’alleanza con l’Udc, il governo di unità  nazionale, qualche scambio con la presidenza della Repubblica. Quelle cose che si scoprono dopo. Dopo Monti vedo solo un altro Monti. La disperata domanda di alternativa e il bisogno di futuro del Paese non sono l’oggetto del confronto». Saranno primarie, dice, «utili solo a definire i nuovi rapporti di forza dentro il partito. Ciascuno parla al suo esercito. Ho già  vissuto due volte, con le primarie di Vendola, lo scontro fra apparato ed energia vitale. Ma ogni volta  è più difficile, ogni volta la gente è più stanca». Gli piacerebbe, dice, che «si ascoltasse chi fa politica affondando le mani ogni giorno nelle piccole cose della vita. E’ nelle piccole cose il seme della grande speranza. Ma lo dico perché sono ottimista patologico.
Perché devo continuare a crederci se voglio alzarmi da questo bar, fra cinque minuti, e tornare a guardare negli occhi la gente».

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