by Sergio Segio | 30 Settembre 2012 6:48
Il Dipartimento di stato afferma di aver preso la decisione in riconoscimento del fatto che il gruppo ha rinunciato alla violenza, che da un decennio non c’è notizia confermata che abbia compiuto atti di terrorismo, e che ha «cooperato» nella chiusura del campo paramilitare dove aveva base, in Iraq. Un funzionario del Dipartimento di stati Usa che venerdì ha intrattenuto i giornalisti, sia pure anonimamente, ha aggiunto che però il suo ministero «non sottovaluta né ha dimenticato i passati atti di terrorismo» dei Mojaheddin del popolo, tra cui l’uccisione di cittadini americani negli anni ’70 e un attacco interritorio americano nel 1992. L’anomino alti funzionario ha anche precisato che gli Stati uniti non vedono il gruppo come una «opposizione credibile» in iran. Curioso, come se volesse ridimensionare la legittimazione di fatto data al gruppo. Il gruppo dei Mojaheddin Kalkh, o Mojaheddin del Popolo iraniano, ha combattuto il regime dello Shah e dopo la Rivoluzione ha ingaggiato (e perso) una dura lotta di potere con la dirigenza della Repubblica Islamica che si andava allora consolidando: tanto che lanciò una strategia di attentati di alto profilo a Tehran e optò per la lotta armata. Negli anni ’80, dopo l’invasione delle truppe irachene che ha dato il via alla guerra Iran-Iraq, i Mojaheddin del popolo si sono rifugiati in Iraq, da cui hanno continuato a combattere il regime di Tehran sotto la protezione di Saddam Hussein. Dopo l’invasione americana nel 2003 hanno perso la protezione; ormai rinchiusi nella loro roccaforte di Camp Ashraf, disarmati, circondati dall’ostilità degli iracheni, di loro si è occupata l’Onu in termini di protezione umanitaria: dopo mesi di resistenza, giorni fa è stato completato il loro trasferimento in un campo di transito. In Iran oggi i Mojaheddin del Popolo sono visti come una sorta di setta oscura e intollerante; neppure tra gli oppositori interni hanno credibilità politica. All’estero però (la loro leader Maryam Rajavi risiede in Francia) hanno sostenitori influenti. La decisione di toglierli dalla «lista nera» è una vittoria per una lobby multi-milionaria di exilés iraniani negli Usa e nell’Unione europea: oltreoceano si sono pronunciati a favore della legittimazione ex direttori della Cia e del Fbi. Secondo il New York Times hanno offerto ai loro sostenitori altolocati onorari dai 15mila ai 30mila dollari per tenere discorsi pubblici; l’ex governatore democratico della Pennsylvania, Edward Rendell, ha ammesso di aver ricevuto da loro circa 150mila dollari. Al contrario, la decisione di risdare legittimità ai Mojaheddin Kalkh ha fatto infuriare gli oppositori riformisti in Iran: ora il regime iraniano «avrà una scusa per meglio reprimere l’opposizione interna», si legge su un sito riformista.
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