Rajoy gioca l’ultima carta per evitare gli aiuti ma la Spagna non ci sta

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MADRID — La Spagna resiste, non vuole ancora gettare la spugna. Prima di chiamare Bruxelles e chiedere aiuto al Fondo nazionale di salvataggio raschierà  il fondo del barile. Sono le 7 di sera e nel centro di Madrid sfila un lungo corteo di studenti, presidi, bidelli, professori. E’ l’ennesima manifestazione di protesta. Pacifica, imponente, preoccupata. I tagli al mondo della scuola sono pesanti. Come alla cultura che dovrà  fare i conti con riduzioni del 30%. Il governo conservatore di Mariano Rajoy ammette le sue difficoltà . Ma assicura che la nuova, manovra finanziaria che ha presentato due ore prima ha le stimmate dell’eccezionalità . Della conferenza stampa convocata alla Moncloa c’è una frase, tra le tante, che illumina bene l’imbarazzo di un Esecutivo al limite della sua sovranità . «Questa è una finanziaria da tempo di crisi, ma necessaria per uscire dalla crisi », si difende Soraya Saenz De Santamaria, addetta allo scomodo ruolo di portavoce e parafulmine della raffica di contestazioni da parte dei giornalisti.
E’ difficile spiegare misure che preludono ad una sconfitta. Ci sono da recuperare 40 miliardi di euro. E per farlo ci sono solo due strade: tagliare tutto il tagliabile e aumentare le entrare fiscali. Ma per un governo di centrodestra si tratta di due scelte che rischiano di affossare il consenso del suo elettorato, già  afflitto da un pessimismo che rasenta la sfiducia. In più, ci sono le mancate promesse su cui pesa il giudizio dei mercati. Il governo Rajoy si era impegnato con Bruxelles a ridurre il suo deficit al 6,3 per cento nel 2012 e ancora al 4,5 nel 2013. Ma la sbandata di questi ultimi sei mesi ha fatto lievitare i conti all’8,9 per cento, mancando l’obiettivo del 6. Oltre alla crisi economica e finanziaria, c’è una crisi di credibilità . La Troika e gli istituti finanziari internazionali sono scettici. Restano convinti che Madrid non riuscirà  a superare l’esame. Molti già  scommettono sull’inevitabile ricorso al Fondo di salvezza, premessa fondamentale per accedere agli aiuti della Bce.
Così, la conferenza stampa, oltre ad annunciare nel dettaglio le misure che verranno adottate, si trasforma in una serie di ammissioni e di nuovi impegni a cui pochi credono. «Prevediamo», dice il ministro delle Finanze Cristobal Montoro, «una contrazione del Pil dello 0,5%». Ma assicura subito dopo: «Il 2013 sarà  comunque l’ultimo anno di recessione». Qualcuno gli fa notare che si tratta di una proiezione ottimista: un sentimento davvero coraggioso di questi tempi. Montoro si corregge: «Certo, le previsioni non sono certe. Subiscono gli umori dei mercati. Quest’anno, purtroppo, la contrazione sarà  dell’1,5%».
I mercati più che pessimisti sono cinici: l’Fmi si aspetta un rialzo dell’1,2, Standard and Poor’s dell’1,4. Interviene il ministro dell’Economia, Luis De Guindos. Un chiarimento che aiuta il collega. «L’obiettivo di ridurre il rapporto deficit-Pil al 6,3% è comunque stato raggiunto per l’insieme della Pubblica amministrazione». Sarà  sufficiente? De Guindos è più realista del premier Rajoy che per tutto il giorno ha cercato di allontanare lo spettro di un ricorso a Bruxelles. «Non è ancora finita», ammette il titolare dell’Economia. «Stiamo valutando le condizioni di una possibile richiesta di aiuti».
Si naviga a vista. Tra proteste, malumori e condanne per l’uso eccessivo delle forza da parte della polizia durante la grande manifestazione di martedì scorso. Ci sono ancora una trentina di persone in arresto. I feriti, numerosi, hanno denunciato di essere stati aggrediti e picchiati spesso senza un valido motivo. La filosofia che ha ispirato la manovra divide quasi equamente i tagli alla spesa (58%) con l’aumento delle tasse (48%). I ministeri, e quindi la pubblica amministrazione, subiranno la contrazione maggiore: 8,9% nel 2013, con un risparmio di 3.883 milioni di euro. Bisogna raggiungere l’obiettivo imposto da Bruxelles di ridurre il deficit al 3,8% del Pil per l’amministrazione centrale e la sicurezza sociale. Le entrate fiscali saliranno del 3,8% e faranno incassare altri 4,7 miliardi in due anni. L’aumento dell’Iva dovrebbe portare altri 54,6 miliardi, oltre alla patrimoniale, estesa a tutto il 2013, che porterà  nelle casse dello Stato 700 milioni. Si tassa anche il gioco: un 20% per tutte le vincite superiori ai 2500 euro (824 milioni) si eliminano le deduzioni per gli ammortamenti concessi alle grandi imprese (ancora 2.371 miliardi). Una buona parte (4,4 miliardi) sarà  utilizzata per rivalutare le pensioni. Verranno legate all’inflazione ma saranno calcolate sulle aspettative di vita.
Un giro vorticoso di cifre e di numeri che lascia quasi indifferenti le persone. Si fanno sentire i bisogni primari. La vita, a Madrid ma soprattutto nelle province, è radicalmente cambiata. E’ un brutto sogno che si è trasformato in incubo. Ciò che si recupera tra tasse e tagli viene subito mangiato dagli interessi del deficit: il 33% di 9.742 miliardi di euro.
Una goccia d’acqua per prosciugare un deserto di sabbia. La Castiglia la Mancia è a secco: chiederà  aiuto al Fondo nazionale di salvataggio per 843 milioni. E’ la quinta regione. Dopo Catalogna, Valencia, Murcia, Andalusia. La Catalogna si sgancia. Voterà  un referendum sull’autodeterminazione dopo le elezioni anticipate del 25 novembre. Madrid corre ai ripari: «E’ incostituzionale ». Ma la regione, questa volta, punta alla piena autonomia.


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