Questa volta un decreto serviva davvero
Non è azzardato affermare che il ministro ha segnato una data storica e gliene va dato merito. Nel periodo del secondo governo Prodi (2006-2008) la sinistra (Rifondazione e Verdi) avevano tentato di far approvare un provvedimento simile, ma il predominio culturale del Pd lo impedì. Erano i tempi del “modello Roma”, e cioè della convinzione che sul mattone e sul cemento si potesse basare il futuro di un paese. Bastava guardare la realtà dei fatti, e cioè alla grande quantità di alloggi invenduti o di uffici vuoti che già allora caratterizzavano le nostre città . Oppure essere meno provinciali e guardare ad esempio alla Germania che da tempo aveva approvato una legge che poneva progressivamente fine all’espansione urbana. Ma i meriti del governo dei banchieri finiscono qui. Il cipiglio decisionista sfoderato attraverso la decretazione d’urgenza quando c’è stato da colpire i diritti dei lavoratori, quando c’è stato da rinviare di anni l’età pensionabile o quando c’è stato da aumentare oltre misura il carico fiscale, ha sobriamente lasciato il posto a un disegno di legge. Ora non ci vuole l’intelligenza dei professori per comprendere che non se ne farà nulla. La decretazione d’urgenza era invece indispensabile per lo stato delle nostre città . Agli inizi di quest’anno il supplemento settimanale del Sol e 24 Ore dedicava un preoccupato articolo a una ricerca svolta dall’università di Milano da cui emergeva che se tutte le previsioni edificatorie conquistate con tutte le deroghe imposte dall’economia liberista si concretizzassero, città come Brescia o Bergamo avrebbero al 2020 una quantità di case invendute pari alla popolazione residente. Città fantasma che nessuno abiterà mai! Rispetto a questi segnali altro che disegno di legge: ci voleva il coraggio di concludere una fase speculativa che dura da venti anni. Ma qui arriva la vera natura del governo Monti che non è certo rappresentata dal ministro Catania quanto dall’affiatato tandem Passera-Ciaccia. Coppia inseparabile dai tempi della Banca Intesa che sul mattone qualche cosa conosce. Soprattutto conoscono che molti istituti di credito sono esposti per cifre importanti in folli proposte urbanistiche che sarebbero saltate se si fosse percorsa la strada della decretazione d’urgenza. Alcuni esempi: i 30 milioni di metri cubi decisi prima di Pisapia a Milano o i quaranta milioni che devono ancora essere costruiti a Roma grazie al piano regolatore di Veltroni. O, ancora, le cinque ignobili città “tematiche” decise dalla Regione Veneto che cancelleranno centinaia di ettari di territorio agricolo. Dietro a queste speculazioni ci sono gli istituti bancari e Passera-Ciaccia sono lì per vigilare. Del provvedimento sul consumo di suolo se ne parlerà negli anni prossimi. Fin d’ora, però, è indispensabile che la sinistra elaborasse una sua proposta per il recupero e la riqualificazione delle periferie. L’associazione dei costruttori ha da tempo calato le carte: libertà di demolire e ricostruire senza limiti di aumento delle volumetrie: deve decidere solo la convenienza economica. Il primo tentativo in atto è quello in corso a Roma guidato da Abete per trasformare Cinecittà da luogo di produzione a luogo di speculazione edilizia. Chi è convinto che bisogna costruire l’alternativa alla nefasta fase dell’economia liberista deve urgentemente manifestare un differente progetto.
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