by Sergio Segio | 3 Settembre 2012 6:28
È l’ultima ironia di questa interminabile emergenza. Due governi che hanno passato gran parte della storia dell’euro a cercare di smarcarsi l’uno dall’altro, rischiano di essere relegati nello stesso vagone del convoglio.
Spagna e Italia, per lo più separatamente, cercano entrambe di trovare le parole per spiegare che forse un sostegno esterno al debito sarà utile all’una e all’altra. Eppure restano, prese insieme, un curioso caso di divergenze parallele che affonda le radici nei decenni. Nessuno ha dimenticato la visita dell’allora premier Romano Prodi al collega José Maria Aznar a Valencia nel settembre del ’96 e soprattutto le frasi del leader spagnolo sul conto dell’italiano il giorno dopo: «Voleva che Spagna e Italia andassero insieme verso Maastricht (il Trattato sull’euro, ndr) tenendosi per mano, ma a me non interessa tenermi per mano con nessuno. Gli ho detto che noi saremo lì, pronti al via e niente rinvii in comune». Seguirono telefonate di fuoco fra Palazzo Chigi e la Moncloa, il raddoppio della manovra italiana pochi giorni dopo e il resto ormai è storia.
Una costante invece è rimasto il desiderio in entrambi i Paesi di non essere assimilati all’altro dai comuni vicini. Un’aspirazione spiccata malgrado certi slanci d’entusiasmo del premier Silvio Berlusconi a Cuenca nel 2004 nei confronti del collega Zapatero: «Io e Josè Luis siamo due guapos!». Ciò non impedì a Zapatero nel 2008 di mettere gelidamente una sottolineatura doppia sul (malaugurante, per entrambe) sorpasso della Spagna sull’Italia nella classifica del Pil per abitante corretto in base al potere d’acquisto; e poi anche in quello dell’europeo di calcio, ai calci di rigore: «Ora abbiamo fatto il sorpasso anche nel calcio e tutti sappiamo che sforzo ci costa — disse il premier socialista di Madrid — quindi non abbasseremo la guardia».
Il timore di somigliarsi, o di essere visti come simili, è probabilmente un sintomo di insicurezza. Certo il premier Mario Monti, malgrado l’autocontrollo, si irritò nella primavera scorsa per le ripetute sbandate dell’omologo Mariano Rajoy sulle banche o la finanza pubblica: l’italiano temeva di essere raggiunto dal contagio iberico, lo disse in pubblico e lo spagnolo di questo si risentì.
Certo la voglia di distanziarsi a vicenda — e la paura di essere associate — deriva per entrambe dallo sforzo di ancorarsi al cuore d’Europa. E in parte è anche giusto: la situazione fra i due Paesi non è identica, al contrario. Da qua a fine anno per esempio l’Italia deve collocare sul mercato una media di bond per 15 miliardi di euro al mese, sopra i 13 al mese raccolti fin qui; ma anche con l’attuale calo della domanda dall’estero, l’obiettivo appare alla portata. Quanto alla Spagna, dovrebbe tenere sul mercato almeno due aste al mese da 4 miliardi, eppure l’ultima volta che è riuscita a raccogliere 4 miliardi in una sola asta è stato in marzo scorso. Poi più.
Ma anche così, con il mantra troppe volte sentito «L’Italia non è la Spagna» e «la Spagna non è l’Italia» (e nessuna delle due è l’Uganda, parola di Rajoy), le due hanno un punto in comune fra i molti: il tasso d’interesse sui debiti pubblici e privati si è stabilmente installato sopra il tasso di crescita, anche contando l’inflazione. Significa che una soffocante austerità è inevitabile ma il debito crescerà lo stesso. Nella storia mai nessun Paese è uscito da una simile situazione senza l’aiuto della sua banca centrale, di autorità estere o di un più o meno controllato default. Bridgewater, lo hedge fund dell’italo-americano Ray Dalio, ha messo decine di economisti a macinare i numeri sui precedenti storici delle crisi di debito. E gli hedge fund saranno sgradevoli, ma la matematica in queste circostanze ha un suo perché.
È per questo che Italia e Spagna, ancora una volta insieme ma non troppo, valutano l’aiuto. Se lo chiederà prima Rajoy, il mercato rischia di prepararsi alla richiesta di Monti e rischia di forzarne i tempi. Il premier italiano pensa che i tassi sul debito non siano scesi malgrado il risanamento e le riforme fatte, perché il mercato fa pagare all’Italia il rischio che l’euro si rompa e i titoli del Tesoro siano rimborsati in lire svalutate. Questo è un problema sistemico ed europeo al quale, secondo Monti, possono rispondere solo misure sistemiche ed europee: l’austerità in un solo (grande) Paese non basta più. Neanche in due soli. Se ora questi smetteranno di differenziarsi, pur restando diversi, forse tutti lo capiranno. Anche più a nord della Spagna, o dell’Italia.
Federico Fubini
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