Quelle vite perdute che rinascono narrate dagli scrittori
ISILI (Cagliari). Una giornata in carcere, con i detenuti e gli scrittori. Sì, detenuti e scrittori insieme, perché i primi raccontino le loro storie e gli altri le trasformino in pagine da leggere. Un’idea semplice, però è la prima volta che si realizza tra le mura di un penitenziario. È stato un carcerato a suggerirla, congedandosi da Giampaolo Cassitta, che per quindici anni ha fatto l’educatore all’Asinara. «Mi piacerebbe leggere la mia vita, narrata però da uno scrittore vero. Perché significa che una vita io l’ho vissuta, anche se ne ho smarrito il senso». Accade a Isili, nella terra povera del Sarcidano, a un centinaio di chilometri da Cagliari. Ma non è una prigione uguale alle altre, quella di Isili. È una colonia penale agricola, entri rapinatore e ne esci giardiniere o allevatore esperto. E al posto della cocaina impari a maneggiare miele e formaggio. I cameroni non sono granché, molti i letti a castello, però la giornata si svolge all’aperto, tra boschi di lecci e terreni da semina. Nella struttura centrale ci sono il pollaio, un caseificio, la dispensa, il macello e una stanza per l’essicazione del formaggio. E ogni nazionalità — sono tantissime, una trentina — ha la sua specializzazione. I tunisini imparano a potare gli ulivi, mentre i rumeni sono bravi nella pastorizia. Anche fuori dal carcere, in Sardegna, oggi i servi pastori arrivano da Bucarest. In tanti sognano di avviare un’impresa in patria, un loro compagno brasiliano ce l’ha fatta. Qualcuno però non resiste e scappa. Anzi non torna dai permessi, oppure si fa male con la lametta. Quasi un rito, un codice ripetuto per inedia. Eccoli, sono loro. Entrano nella sala piena di luce per incontrare i loro biografi. Molto curati, il volto ben rasato, le scarpe pulite. Indossano eguali pantaloni color tabacco, il giovane Olaru li vorrebbe di taglio più aggiornato. Hanno tutti condanne sotto i quattro anni, oppure manca poco per uscire. Sorridono, si mescolano tra il pubblico, sembrano contenti. Molto emozionati. Lo sono ancora di più i narratori scelti per raccontarne le storie. Ciascun detenuto ha deciso il suo, dopo averne letto i libri e intercettato le diverse sensibilità . Gli scrittori sono Paolo Maccioni, Salvatore Bandinu, Michela Capone, Claudia Musio, Michele Pio Ledda, Nino Nonnis, il già citato Cassitta, per lo più insegnanti, magistrati, giornalisti, educatori, poeti e commediografi, conosciuti in Sardegna soprattutto per l’attenzione verso i “senzavoce”. I loro ritratti andranno a comporre un libro, “Io mi racconto”, che avrà l’introduzione di Marcello Fois, una sorta di testimonial dell’esperimento. «Buongiorno a tutti» è la formula di rito televisivo con cui gli undici detenuti si presentano. «Buon giorno a tutti, sono Limbardi Pierpaolo, cagliaritano di Sant’Elia. Conosco la strada, non so se è un bene. Credo di sapere cos’è la libertà , ma qualche volta mi confondo». «Buon giorno a tutti, sono Pilo Massimiliano, ho 43 anni, più della metà trascorsi da recluso. Tra qualche giorno avrò la libertà , ma non so che farmene». «Buon giorno a tutti, sono Mohammadi Mohammad, vengo dall’Afghanistan e credo di avere 22 anni. Credo, perché sono scappato a sei anni e non ho mai posseduto documenti di identità ». «Buon giorno a tutti, sono Ndyae Mohamed, vengo dal Senegal, ho molto sbagliato ma solo per sopravvivenza. Ora vorrei che a raccontarmi fosse uno scrittore di storie d’amore, perché senza amore non si può vivere». «Buon giorno a tutti, sono Borissov Gueorgui Ivanov, vengo dalla Bulgaria. Ma che senso ha dire “vengo”? Non sono qui per mia volontà ». Storie minime che s’intrecciano con la storia grande. Guerre, carestie, crollo di muri. Borissov è un quarantenne dal tratto signorile, molto disinvolto, quasi avezzo agli usi di mondo («Perché son qui? Nella mia valigia, alla frontiera, c’era qualcosa di più degli effetti personali»). Ha una laurea in Economia ed è figlio della nomenclatura comunista, una madre professoressa universitaria e un padre veterinario. La fine del regime significò anche la fine del privilegio. E a Borissov piacevano la bella vita, i soldi, il lusso. Anche il ventiduenne rumeno Olaru rappresenta quella parte di mondo. La sua è una storia rocambolesca che parte da Bacau e arriva a Scampia, mescola spacconeria e abbandoni, rapine e camorra. Dichiara fiero di parlare perfettamente inglese e napoletano stretto, “perché sennò come avrei fatto con i boss?”. La violenza della guerra afghana rieccheggia nel racconto di Mohammad. Era solo un bambino quando vide la sua famiglia morire, e la mamma che urla “scappa, scappa nel bosco”. La loro colpa più grande? Essere nati nella parte sbagliata del mondo. Non fa che ripeterlo Valeria Pitzalis, la straordinaria educatrice che vigila sulle loro vite. “Santa Valeria” la chiamano, ne sono tutti innamorati ma hanno il pudore di non dirlo. Ora l’attesa è per il libro che scaturirà dalle loro storie, pubblicato da Arkadia con la collaborazione dell’associazione culturale Il Colle Verde. Ciascun racconto sarà rivisto dal biografato, che rileggendosi scoprirà di avere una vita, alle spalle. E forse un’altra ancora da vivere.
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