by Sergio Segio | 13 Settembre 2012 6:28
WASHINGTON — Una bandiera nera con un cerchio bianco nel mezzo. Poi la scritta «Non c’è altro Dio al di fuori di Allah». Il vessillo è apparso per la prima volta nelle mani dei seguaci di Al Zarqawi in Iraq ed è poi spuntato in questi mesi nello Yemen, quindi al Cairo durante l’assalto all’ambasciata e a Bengasi. A Tunisi, invece, lo ostentano i salafiti durante le loro manifestazioni violente. È un simbolo di riconoscimento che unisce chi si offende per un film e coloro che ricorrono al terrore. A prescindere se facciano parte di Al Qaeda o si limitino a usare l’etichetta. Contano i comportamenti.
Alcuni gruppi libici sono ben visibili. È il caso di Ansar Al Sharia (Sostenitori della Sharia), tra i sospettati per l’omicidio dell’ambasciatore Usa, e guidato da Mohammed Zahawi. Oppure sono clandestini. In Libia i segnali sull’attività di nuclei ispirati ad Al Qaeda sono emersi già durante la rivolta. Decine di elementi si sono concentrati in Cirenaica, soprattutto nella regione di Derna, città che aveva offerto molti kamikaze poi morti durante la guerra in Iraq. L’eredità dei «martiri» è stata raccolta dai guerriglieri inquadrati dall’ex detenuto di Guantanamo, Abu Sufyan bin Qumu. Non pochi «finito il lavoro» in patria, sono emigrati in Siria per unirsi alla rivolta contro Assad.
La «tradizione» è cresciuta sfruttando la rivoluzione anti Gheddafi, per poi ampliarsi cercando di passare sotto il radar. Mesi fa, fonti americane hanno rivelato che Ayman Al Zawahiri, attuale leader del movimento, avrebbe inviato un suo emissario in Libia a fare da ufficiale di collegamento. Missione accompagnata dalla creazione di un campo d’addestramento in una zona remota. Rifugio adatto ad ospitare altri volontari. Al punto che gli Usa hanno inviato dei droni per dare la caccia ai terroristi. Ma qui, rispetto ad altri scacchieri, non è sempre facile distinguere la gradazione di estremismo. Perché i colori non sono netti, la collocazione cambia a seconda del momento. Ci sono gli ex membri del Gruppo combattente libico rientrati nel sistema politico ai più alti livelli. Poi gruppi che hanno un’agenda puramente locale, attenti a non superare certi limiti. Infine quelli che si richiamano alla Jihad globale, cercando alleanze e obiettivi nel segno di Al Qaeda. Lo provano gli attacchi contro la sede della Croce Rossa, un’esplosione al consolato americano di Bengasi e un agguato a un mezzo dell’ambasciata britannica.
I primi due episodi sono stati rivendicati dalla «Brigata del prigioniero Omar Abdel Rahman», l’ideologo egiziano meglio noto come lo sceicco cieco e detenuto negli Usa. Operazioni ritenute la prova generale per iniziative più clamorose (forse quella dell’altra notte). E — secondo un’interpretazione — la strage a Bengasi sarebbe avvenuta in coordinamento con la casa madre di Al Qaeda. Qualcosa di pianificato, dicono dagli Usa. A sostegno di questa tesi citano due punti. 1) L’anniversario dell’11 settembre. 2) Il messaggio di Al Zawahiri in memoria di Abu Yahya Al Libi, libico, personaggio rilevante di Al Qaeda, eliminato da un drone Usa in Pakistan. Legami tutti da dimostrare, più basati sui sospetti che prove.
Quello che è certo sono le conseguenze immediate. Con i giovani governi nati dalle travagliate rivolte arabe messi in crisi. Esecutivi dove i Fratelli musulmani hanno un peso determinante sono sfidati da nuclei oltranzisti. In Tunisia tra i salafiti ci sono personaggi coinvolti in inchieste di terrorismo (anche in Europa). Nel Paese sono tornati, ad esempio, non pochi elementi contigui a reti eversive pericolose. In Egitto hanno trovato la loro culla ideale nel Sinai. Le difficoltà del potere centrale, l’estensione del territorio e i tradizionali traffici di armi hanno visto un moltiplicarsi di gruppi eversivi. Per prima cosa si sono preparati, poi sono passati all’offensiva colpendo al confine con Israele. Le fiamme del focolaio egiziano si riverberano nella vicina Gaza, regno di Hamas. Il movimento palestinese, da un lato, spara razzi su Israele, e dall’altro prova a contenere le iniziative dei salafiti con legami nel Sinai. Sono forme ibride, dove la componente locale si aggancia a temi internazionali. Tanto è vero che alla vigilia dell’11 settembre dal Cairo avevano lanciato un allarme sul pericolo di attentati contro sedi diplomatiche.
Fenomeni guardati con inquietudine dagli Stati Uniti in quanto è complicato seguirli. Le formazioni dimostrano adattabilità e flessibilità . L’ortodossia religiosa conta, però sino a un certo punto. Ci sono matrimoni di convenienza. L’esempio perfetto è quanto sta avvenendo nel nord del Mali, dove Al Qaeda ha stretto un patto con tuareg islamisti ed altre milizie. Per ora si dedicano ai sequestri — fruttano milioni di euro — però nel contempo costruiscono una rete di relazioni difficile da neutralizzare. Resoconti trapelati prima dell’estate parlavano anche di massicci acquisti di materiale bellico. Dove? Al mercato nero in Libia.
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