QUEL VENTO DI GUERRA CHE SOFFIA SU SIRIA E IRAN

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Non si sa ancora (benché sia più urgente di quanto si pensi) se intervenire militarmente per fermare i massacri di Bashar al Assad, malgrado l’opposizione del Consiglio di sicurezza, la netta ostilità  dei russi e l’impopolarità  di una parte delle forze insurrezionali, segnatamente presso cristiani e curdi. Quest’ultima osservazione sulle possibili garanzie per le minoranze ha suscitato polemiche. Ma il fatto stesso di poter pensare che dubbi del genere esprimano rassegnazione a quanto sta accadendo mi indigna. Tanto più che dalla scorsa settimana, benché nessuno l’abbia adeguatamente rilevato, siamo in presenza di una situazione nuova, e della possibilità  di una guerra su due fronti: la Siria e l’Iraq.
Come tutti noi, sono anch’io sommerso dalle informazioni dei media, ove le approssimazioni sono presentate come certezze e il verosimile si confonde col vero. Dopo tutto, forse il nostro mestiere è proprio questo. Tanto che non riesco ancora a capire – mi serve tempo, ed è questa la mia ossessione – quali effetti potrebbe scatenare un intervento a livello internazionale, né cosa avverrebbe se si provocasse l’esplosione della società  siriana. In effetti, non posso fare come se non fosse successo nulla dallo scoppio delle rivoluzioni arabe, né come se non vi fosse nulla in preparazione per intervenire altrove – cioè in Iran. Mi limiterò quindi a radunare qui alcuni elementi di riflessione.
Il primo articolo ad allarmarmi è stato quello di Bernard Henry Levy, che per la prima volta dopo molto tempo invita allo scambio e non a una tenzone: decisamente, guadagna molto quando adotta nel dibattito la ferma serenità  di un Raymond Aron, piuttosto che le imprecazioni alla Malraux; ma resta comunque assai lontano dal proporre risposte convincenti alle domande che ci poniamo qui.
Quali sono i problemi? Mai come ora il presidente siriano ha meritato in pieno la qualifica, assegnatagli dalla Francia, di massacratore del suo popolo. Chiunque lo abbia incontrato di recente conferma che Bashar al Assad non ha nessuna intenzione di fermarsi. Davanti ai suoi intimi, sembra si comporti come se pensasse veramente di essere il presidente sovrano di una nazione innocente, aggredita da «terroristi stranieri». Ogni parola conta in questa formula, che esprime la sua convinzione e la sua strategia. La sua convinzione, perché proclama che gli islamisti sunniti, armati ed equipaggiati dall’Arabia Saudita, vogliono farla finita con la dinastia alawita, la piccola ma schiacciante minoranza di cui fa parte. E quanto alla strategia, Bashar al Assad si sforza di rilanciare una crociata contro gli Stati Uniti e Israele attraverso l’alleanza con Hezbollah e soprattutto con l’Iran, e sotto il patrocinio russo e cinese. Di fatto, sembra convinto che non vi sarà  alcun intervento militare in Siria, grazie alla strenua opposizione del Consiglio di sicurezza, immobilizzato dai russi.
Di fatto, a tutt’oggi la nostra attenzione non si è soffermata sulla psicologia di un tiranno più che sulle nostre ragioni e possibilità  di abbatterlo. Ma in che modo? Per quanto attiene al Consiglio di sicurezza, il nostro presidente – fisico da Luigi XVI, talenti da Lafayette – ha creduto di poter aggirare l’ostacolo. Ha fatto appello agli insorti invitandoli a formare un governo rappresentativo che potrebbe immediatamente riconoscere. A questo punto, grazie a una mossa da illusionista, gli aiuti non andrebbero più a gruppi di ribelli ma un governo da sostenere. Dalle parti di Sarkozy si esulta: magari non è legale, ma è legittimo! Non si tratterà  più dell’invio di fantaccini come in Iraq o in Afghanistan, ma semplicemente di un’interdizione dello spazio aereo su talune città  e regioni, per impedire all’aviazione siriana di bombardare la sua stessa popolazione. Sembra che tutto ciò sia allo studio. Non penso che il presidente francese abbia potuto farne cenno alla Conferenza degli ambasciatori; ma non dimentico che Franà§ois Hollande è di turno per le ultime settimane della presidenza a rotazione del Consiglio di Sicurezza.
Nel frattempo è in corso altrove un evento considerevole: i preparativi per le elezioni americane. Raramente, nella storia degli Stati Uniti, lo spirito dell’estrema destra si è affermato con una volgarità  vendicativa pari a quella dei discorsi di Mitt Romney, e più ancora di Paul Ryan. Sul piano internazionale, il loro partito manifesta un sostegno incondizionato alla destra israeliana, e in particolare al capo dello stato ebraico Benjamin Netanyahu, che si dichiara fautore di un intervento militare contro i siti nucleari iraniani. Gli strateghi di Gerusalemme si mostrano più moderati dei leader politici, ma pensano che un intervento in Siria fornirebbe una buona occasione per colpire l’Iran. Perciò, come si può vedere, l’interrogativo assume un’altra forma. È possibile fermare il massacro in Siria e farla finita con Bashar al Assad? E con quali conseguenze? Gli elementi fin qui esposti impongono una riflessione.
In ogni caso, per il momento, se da un lato la Francia e il Qatar aiutano i ribelli siriani e hanno praticamente dichiarato guerra a Bashar al Assad, dall’altro è difficile pensare di poter impedire agli israeliani di attaccare l’Iran. Dobbiamo vigilare affinché queste due guerre siano al centro delle preoccupazioni dei nostri capi di Stato e di governo.
Traduzione di Elisabetta Horvat


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