Quei bambini che la Chiesa ha dimenticato

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ROMA. Quel che Pedro Almodovar ha raccontato in forma di fiaba dolente nel più nitido e meno fortunato dei suoi film, La mala educaciòn, il newyorkese Alex Gibney, premio Oscar per Taxi to the dark side, documenta fino allo sfinimento di dettaglio, accumulando per quasi due ore testimonianze, carte, deposizioni, ritagli, filmati d’epoca e insomma prove incontrovertibili del più vergognoso delitto commesso tra le pareti di istituti religiosi cattolici, complice l’omertà  delle gerarchie vaticane: la pedofilia seriale perpetrata nel corso di decenni da alti prelati nordamericani ed europei a danno di bambini, in prevalenza maschi, che i medesimi prelati avrebbero dovuto educare. Centinaia le vittime documentate, quattro i testimoni che — oggi adulti — hanno dato il via in America alla causa di risarcimento infine vinta e che ora per la prima volta vediamo e ascoltiamo sullo schermo.
Di Mea maxima culpa. Silenzio nella casa di Dio, presentato ieri in anteprima mondiale al festival di Toronto, si perdonano le pecche formali in virtù della sconvolgente forza dei fatti che, con grande fermezza, espone rompendo il segreto peggio custodito della storia della Chiesa. Per quanto risulti a tratti ripetitivo e nel complesso prolisso il documentario ha tuttavia il grande pregio di raccontare senza paura ciò che nessuno fino a oggi aveva osato. Dei più di duecento ragazzini sordomuti violentati da padre Lawrence Murphy tra le cupe mura della St. John’s school for the deaf, Wisconsin, quattro sono inquadrati fin dalle prime scene e raccontano con linguaggio dei segni — in molti casi assai più evocativo delle parole — la loro storia. A partire dagli anni Settanta i bambini che venivano consegnati dalle famiglie alle cure delle suore e dei preti di questo cupo immenso castello di mattoni scuri sono stati oggetto di molestie e di violenza carnale da parte del rettore, prete grassoccio e di incarnato roseo acclamato in vita come filantropo e morto libero nel 1998, colto da infarto mentre giocava alle slot machines. La storia inizia nel 1972 e si dipana nei quarant’anni successivi, fino a oggi: una costante e inascoltata catena di lettere, denunce, insabbiamenti.
Il Nunzio pontificio fin dal ’74 sapeva, l’arcivescovo Cousins scriveva («in fondo i testimoni sono muti»), un fiume di denaro copriva il rumore di fondo, donazioni per 80 milioni di dollari, altri casi analoghi emergevano in America e nel mondo, da Boston a Dublino a Verona. La congiura del silenzio trovava il suggello nell’ordine impartito nel 2001 dal cardinale Ratzinger: che ogni denuncia di questo tipo arrivasse sulla sua scrivania e solo su quella, in via riservata.
La telecamera di Gibney si sposta in Europa, racconta l’incredibile storia del pedofilo seriale padre Tony Walsh, il prete che imitava Elvis Presley e che adescava i ragazzini ai funerali. Documenta il caso dell’istituto per sordomuti di Verona, vicenda che meriterebbe da sola un film. In tutto simile al caso del Wisconsin, anche all’istituto Antonio Provolo di Verona le vittime sono state per decenni i bambini sordomuti. «Perché allora si considerava che i sordi fossero disturbati mentali», dice uno dei testimoni. Erano muti e per giunta poverissimi, le vittime ideali. Assai prima che esplodesse lo scandalo della Chiesa di Boston e che si giungesse, da ultimo, alle scuse pubbliche di Ratzinger nel frattempo eletto papa molto ci sarebbe stato da raccontare — mostra Gibney — sui Legionari di cristo di padre Maciel Marcial Degollado, che qui si indica come vicinissimo ad Angelo Sodano. Una vera e propria rete di pedofilia sulla quale il cardinale Ratzinger chiese e ottenne da Giovanni Paolo II, nel 2004, d’indagare. Furono gli stessi legionari, infine, ad ammettere che il fondatore aveva commesso abusi sessuali ripetuti sui seminaristi della congregazione. Degollado, però, nel frattempo era morto.
Difficile immaginare che Silenzio nella casa di Dio trovi un distributore per le sale italiane, e ancor meno che possa essere trasmesso in tv per quanto non si debba mai perdere la speranza nel coraggio degli uomini. Il Vaticano ha naturalmente negato ogni autorizzazione alle interviste che Gibney aveva richiesto. Il regista, tuttavia, si ostina sereno a ripetere che il suo lavoro è al servizio della vera fede e dello spirito autentico della chiesa «perché nulla — dice — è più sacro dell’innocenza. Coprire questo crimine e non denunciarlo equivale a commetterlo».


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