“Il gioco è come il fumo, vieteremo gli spot”
Esce un divieto, ne entra un altro. Dall’ultima bozza del discusso decreto sulla salute del ministro Renato Balduzzi è scomparsa la norma di non installare videopoker in un raggio di 500 metri da scuole, centri giovanili o chiese, ma ne è stata inserita una che riduce gli spazi per la pubblicità dei giochi d’azzardo, vietandola su «mezzi di trasporto pubblico e nei luoghi frequentati prevalentemente dai minori».
Definizione la cui genericità lascia perplessi tutti gli operatori del settore, perché dentro si può far rientrare un po’ di tutto, volendo anche gli stadi di calcio, arene predilette da chi ha il compito di promuovere il gioco d’azzardo.
Nel testo, che sarà presentato oggi da Balduzzi al Consiglio dei ministri, si legge che la pubblicità «diretta o indiretta» di scommesse sportive, lotterie concorsi a premi, gratta e vinci, videopoker, newslot e giochi d’azzardo in genere «è vietata all’interno di programmi televisivi rivolti ai minori nei venti minuti precedenti e successivi degli stessi e nell’intera fascia oraria dalle 16 alle 19.30». Il codice di autodisciplina che i concessionari si sono dati, a ben vedere, prevede già la tutela dell’area protetta. Ma in realtà gli spazi più “appetibili” per gli operatori sono quelli durante gli eventi sportivi trasmessi dalle televisioni commerciali, soprattutto il calcio, che tra Serie A, B e campionati esteri si posiziona in quella fascia.
Il divieto agli spot, che portano “in dote” quasi un miliardo di euro all’anno, non si limita alla fascia protetta televisiva, si estende anche «alla stampa giornaliera e periodica» per ragazzi, ai cinema dove vengono proiettati film per tutti, agli autobus, ai treni e agli altri mezzi di trasporto pubblico. Fino a comprendere i luoghi frequentati prevalentemente dai minori. E questo è un nodo che fa parecchio male ai concessionari di pubblicità , proprio su questo punto si concentrerà la reazione dei colossi del settore.
«Insomma adesso i giochi sono improvvisamente diventati “pericolosi” come il fumo – ragiona Alessandro Allara, direttore della comunicazione di Paddy Power Italia, una società con sede a Dublino che raccoglie scommesse sportive – ma quali sarebbero questi luoghi? Come si fa a definirli? Lo stadio, ad esempio, dove giocano squadre che indossano maglie sponsorizzate da aziende del gioco d’azzardo, è uno di questi? È una riforma oggettivamente inattuabile. Porre dei limiti alla pubblicità di un comparto che da solo fattura 80 miliardi di euro all’anno e costituisce una fonte importante di entrate per l’Erario è inopportuno. E ferisce la libertà di impresa, come è evidente con la norma che riguarda i mezzi pubblici».
Il tenore delle reazioni dei concessionari che gravitano in questo grasso e opulento mercato è più o meno questo. Aggiunge Massimo Passamonti, presidente di Confindustria Sistema gioco Italia, che li rappresenta: «La bozza del decreto rivela la debolezza dell’impianto iniziale e la sua impostazione ideologica. Siamo tutti convinti che bisogna preservare le fasce più deboli, ma la genericità con cui sono stese queste norme, non lo fanno né lo faranno».
Il ministro Balduzzi, che nello stendere la bozza del suo decreto ha ribadito più volte la necessità di «contrastare le ludopatie», la pensa diversamente e per essere più “convincente” ha previsto anche l’introduzione di multe per i concessionari di pubblicità da 10mila a 100 mila euro, con sospensione della licenza per due anni alla terza violazione commessa. Non è escluso che una parte del decreto, compresa la norma che limita la pubblicità del gioco d’azzardo, possa finire in un disegno di legge ad hoc. «Il governo non dia ascolto alle lobby – suggerisce Margherita Miotto, capogruppo Pd nella Commissione Sanità di Montecitorio – è in ballo al salute dei cittadini, soprattutto di quelli più piccoli. Evitiamo di fare mediazioni al ribasso», dice, riferendosi alla disposizione prima inserita e poi stralciata sulle distanze minime delle slot machine da scuole e ospedali. Ma di sicuro le lobby del gioco, l’industria più florida che non conosce crisi, sono già al lavoro.
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