“Barack? Un po’ ci ha traditi ma è impossibile non votarlo”

by Sergio Segio | 5 Settembre 2012 7:04

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«Riflettendo su questi quattro anni, ci sono tante ragioni per sentirsi insoddisfatti di Barack Obama, perfino traditi. Allo stesso tempo, però, non si può non votarlo». Jonathan Safran Foer, uno dei più celebri scrittori americani contemporanei, ha le idee chiare. Per l’autore di Se niente importa e del bestseller Ogni cosa è illuminata (pubblicati in Italia da Guanda) «i valori che incarna e promuove Obama sono la cosa migliore per l’America».
Foer, eppure molti si sentono delusi da Obama. Perché?
«Obama si è comportato molto bene, alla luce della situazione catastrofica che ha ereditato. Non bisogna dimenticare che cosa erano gli Stati Uniti quando Obama è arrivato alla Casa Bianca: le guerre, un’economia nella morsa tra recessione e depressione… Nonostante tutto è riuscito a far approvare la più importante legge di un’intera generazione, ossia la riforma sanitaria. La sua idea di ciò che è giusto e sbagliato non solo è più etica di quella di Romney, ma è la migliore per il Paese».
Se Obama vincesse il 6 novembre, quali sono le prime due cose che gli chiederebbe?
«Mettere un freno alla vendita di armi negli Stati Uniti e una maggiore salvaguardia dell’ambiente, due temi su cui lui sinora si è speso poco».
Secondo lei, come si risolve la questione delle armi?
«Con il buonsenso. Ma il buonsenso, triste a dirsi, non sembra essere una cosa facile da conquistare. Le armi uccidono, punto. Gli americani sembrano avere un’ossessione omicida, che va oltre la caccia e l’autodifesa. L’Nra (la lobby delle armi americana, ndr) è un’organizzazione spregevole, che fomenta le paure peggiori. È una vergogna che gli Stati Uniti non riescano a trovare un leader che si opponga a tutto questo».
Che cosa pensa del candidato repubblicano Mitt Romney?
«Penso che Romney sia un politico molto intelligente e una brava persona. Ma queste sue qualità , nella corsa per la Casa Bianca, sono ora ostaggio della necessità  di conquistare un’ampia parte dell’elettorato repubblicano. Il Romney governatore del Massachusetts (dal 2002 al 2006, ndr) non è poi così diverso dall’Obama presidente degli ultimi quattro anni. Romney però s’è fatto sviare da personaggi spregevoli. E invece una qualità  fondamentale che deve avere un presidente è quella di sapere chi ascoltare».
Clint Eastwood invece è un fan di Romney. Come ha giudicato il suo show con la sedia vuota alla Convention di Tampa?
«Una follia. A tratti anche divertente, ma in realtà  triste e patetico. Secondo alcuni, con quella performance Eastwood ha mostrato, finalmente, la sua vera identità  politica. Per me Eastwood è semplicemente una persona arrabbiata, illusa, mentalmente impotente, che ha fatto il suo tempo».
E allora, se non le piace il “sogno americano” di Eastwood, qual è per lei oggi il vero American Dream?
«È sempre quello della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti: vita, libertà  e ricerca delle Felicità ».
I suoi libri più letti si basano sulla ricerca di qualcosa che manca: una persona, la soluzione di un mistero, la verità . Che cosa manca all’America di oggi?
«Certamente stiamo ripudiando la nostra missione originale. Gli Stati Uniti sono un Paese fondato dagli “altri” ed è stato sempre aperto agli “altri”. Questo nostro spirito ci ha contraddistinto nel mondo e ha alimentato la nostra idea di “essere eccezionali”, termine che non amo ma che a volte ha davvero rispecchiato la realtà . Oggi, però, vedo che stiamo tristemente scivolando verso un patriottismo che somiglia alla xenofobia. Si pensi alla letteratura, per esempio: oggi i titoli stranieri tradotti in America rappresentano solo il 3 per cento dei libri pubblicati. In Europa, invece, vengono tradotti molti più libri, dal 30 al 45 per cento del totale. Insomma, l’America sta rinunciando al “dialogo col mondo”».
Nel suo romanzo Molto forte, incredibilmente vicino (dal quale è stato tratto l’omonimo film) lei racconta le ferite dell’11 settembre. Quanto incidono ancora quelle ferite nell’America di oggi?
«Non credo che gli Stati Uniti di oggi siano diversi da quelli che erano prima degli attentati del 2001. Forse è cambiato il fatto che noi americani ci opponiamo sempre meno a chi calpesta le nostre libertà  civili…».
Obama è stato molto criticato per le sue posizioni riguardo al programma nucleare dell’Iran. Lo hanno perfino tacciato di “appeasement”. Lei, che è di religione ebraica, che opinione ha?
«Credo che sinora l’atteggiamento di Obama nei confronti della questione iraniana sia stato assolutamente corretto. Certo, la situazione è mutevole e l’approccio americano dovrà  cambiare di conseguenza. Ma credo fermamente che Obama farà  in ogni caso la cosa giusta. E la comunità  ebraica si comporterà  in maniera simile a quattro anni fa. Molti, anche con metodi razzisti, vogliono seminare terrore e convincere gli ebrei che Obama non andrà  in loro soccorso se la situazione dovesse precipitare. Ma non funzionerà ».

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