Poveri “senza via d’uscita”: in Italia sono oltre 10 milioni. Sta peggio solo la Grecia

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ROMA – L’Italia è il secondo paese in Europa con il più alto tasso di povertà  persistente: l’indicatore misura la percentuale di popolazione a rischio di povertà , che lo era anche in almeno due dei tre anni precedenti. Nel nostro paese è consistente, cioè, il numero delle persone che non riesce a uscire dalla povertà  e vi resta per anni senza accenni di miglioramento. I “poveri persistenti” erano nel 2010 10.319 milioni, il 70% dei 14.742 milioni di italiani a rischio povertà . Peggio di noi sta solo la Grecia. I dati allarmanti, diffusi per la prima volta in maniera dettagliata, sono contenuti nel Quaderno della Ricerca Sociale n. 17 “Povertà  ed esclusione sociale: l’Italia nel contesto comunitario. Anno 2012” elaborato dalla Direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali del ministero del Welfare, i cui dati si riferiscono ai redditi del 2009, anno in cui la crisi ha cominciato a manifestarsi. Lo studio analizza il rischio di povertà  ed esclusione dei paesi europei alla luce del nuovo indicatore comunitario, definito nell’ambito degli obiettivi della Strategia Europa 2020. In realtà  si tratta della combinazione di tre diversi indicatori: a quello tradizionale di rischio di povertà  relativo si aggiungono infatti l’indicatore di deprivazione materiale (non potersi permettere determinati beni durevoli come il telefono la tv a colori, di consumare un pasto di carne o pesce ogni due giorni, fare una vacanza, pagare un mutuo etc) e di esclusione dal mercato del lavoro. “Si è inteso così cogliere anche quella parte di popolazione che, pur in assenza di un rischio di povertà  relativo dal punto di vista reddituale – spiegano i ricercatori -si trova in una condizione di deprivazione diretta e immediata ovvero è in una condizione di esclusione sociale”. L’assunto di base è, infatti, che l’indicatore di povertà  relativa tradizionalmente usato (e che misura le persone che vivono in famiglie il cui reddito è inferiore al 60% di quello medio nazionale), da solo non è sufficiente a fotografare la reale situazione di povertà  di una nazione, soprattutto in presenza di una notevole eterogeneità  tra paesi nelle condizioni di vita prevalenti.

Alla luce di questa misurazione, lo studio sottolinea che la povertà  persistente in Europa colpisce in particolare il nostro paese, dove riguarda soprattutto la popolazione anziana. “Per due terzi dei paesi per cui l’indicatore è disponibile, oltre la metà  degli individui a rischio di povertà  ha subito la stessa condizione in almeno due dei tre anni precedenti –si legge nel rapporto – Tra i paesi a più alto tasso di povertà  persistente troviamo, dopo la Grecia (15,4%), il nostro Paese (13,0%); in entrambi i casi il fenomeno riguarda una fascia molto ampia della popolazione a rischio di povertà  (oltre il 70%), segno che la condizione di povertà  si concentra su uno specifico settore della popolazione per il quale risulta estremamente difficoltoso migliorare le proprie condizioni economiche”.

Le persone che risultano, invece, a rischio povertà  ed esclusione sociale secondo la nuova misurazione sono 14.742 milioni, il 24.5% della popolazione. Un numero maggiore a quanto indicato dall’Istat, che per il 2011 stima l’11,1% delle famiglie relativamente povero, per un totale di 8 milioni 173 mila persone (dato sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente). La differenza è dovuta all’applicazione del nuovo indicatore comunitario che non si basa solo sul reddito ma anche sulla deprivazione materiale e l’esclusione dal mercato del lavoro. In generale con una percentuale del 24,5% l’Italia è appena sopra la media comunitaria (23%) e la sua posizione è simile a quella degli altri paesi mediterranei (nell’ordine: Cipro, Portogallo, Spagna e Grecia) e cioè in fondo alla classifica dei vecchi Quindici, con l’eccezione dell’Irlanda. Anche da noi, come negli altri paesi dell’Unione economicamente più sviluppati, è il rischio di povertà  la dimensione di esclusione più rilevante (l’incidenza è più che doppia rispetto a quella degli altri due indicatori e da sola spiega circa tre quarti dell’unione dei tre). Anche la grave deprivazione materiale è particolarmente accentuata nel nostro paese: rispetto alla media EU15 del 5,3%, il dato italiano è quasi di un terzo superiore (6,9%). Con riferimento alla bassa intensità  di lavoro, invece, siamo in linea con la media comunitaria (7,5%) e leggermente inferiore alla media EU15 (8,1%). I ricercatori sottolineano, però, che “tenuto conto del fatto che il nostro è il paese a più bassa occupazione femminile dell’intera Unione (fatta eccezione per Malta e, dal 2011, la Grecia) si tratta di un segno del mancato superamento di un modello di offerta di lavoro familiare basata sul maschio breadwinner, nonché del ruolo della famiglia come ammortizzatore sociale”. (ec)

 

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