Poeti in preda al male della parola

by Sergio Segio | 6 Settembre 2012 23:00

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La vigilanza di Merini sulle proprie parole, normalmente già  scarsa, qui risulta completamente in disuso: la poetessa è preda di una lingua dilaniata e oscura, ma, nello stesso tempo, questa cattiva riuscita poetica ci consegna in regalo un’evidenza: l’imperversare della follia e le relative cure fanno di lei una triste paranoica, le cure le disvelano l’angusto reale che ella non sopporta e dal quale era sempre fuggita grazie alla candela accesa in permanenza nella sua anima – poesia di luce e trasfigurazione, parola-verbo di rinnovamento e di benedizione: dove il suo grido era sempre altissimo e teso in una pure disperata forma di speranza, gli elettrochoc le schiacciano la testa sulla superficie polverosa e fredda delle cose.
Ne rimane dunque il prezioso documento di un’evidenza: la «follia» poetica, il mal della parola, è di qualità  radicalmente opposta a quella clinica, la quale è cinica, depauperata, angosciata. Sotto la pressa farmacologica le anime sanno di vuoto, sanno di calma chimica e di oppressione. La gestione psichiatrica era una sottile e ferocissima dittatura perché privava i corpi del rispetto dovuto: nei reparti vegetavano creature dissanguate da uno spreco mortale, prive di libertà , si spostavano grumi di materia distonica e stonata, caduta nella propria solitudine, nella infezione di una solitudine senza rimedio, dove invece la poesia ficca letteralmente le piume nelle clavicole dei poeti, mette in loro una libertà  essenziale e l’intensissima qualità  morale del prendere la parola a nome del coro umano.
L’internato psichiatrico è solo come il più solo degli uomini. Il poeta prende la parola in vece dell’intera umanità . Questa la differenza. Questa la qualità  della gioia senza rimedio dei poeti. Questa la forse involontaria denuncia politica della parolacorpo Alda Merini.
Quando Merini era poetessa, infatti, la follia ne faceva un’ispirata: la visionarietà , il suo tutto-pieno (il rovescio buono di una desertica angoscia), rompeva con costanza la membrana che tiene le cose dentro le tre dimensioni del reale. Tutto il mondo per lei era già  slittato permanentemente nella sua dimensione ulteriore. Era come una morta che guarda ai vivi con una disumana compassione.

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