Obama abbraccia il suo popolo «Altri 4 anni per finire il lavoro»

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CHARLOTTE (North Carolina) «Non vi offro soluzioni rapide o facili. Non l’ho mai fatto: voi non mi avete eletto per dirvi quello che volevate ascoltare ma per dirvi la verità . E la verità  è che, America, i nostri problemi possono essere risolti, ma ci vorrà  più di qualche anno per vincere sfide che si sono accumulate per decenni». Dal leader ispirato, capace di trasformare la realtà , di volare alto sull’aridità  dei numeri e la tortuosità  della politica di quattro anni fa, al presidente caduto sulla Terra.
Un uomo che ieri sera, chiudendo la convention democratica che lo ha ricandidato alla Casa Bianca, non ha avuto paura di mostrare le sue cicatrici, ma che ha anche promesso al suo popolo un nuovo inizio: «Vi propongo un piano praticabile per ricostruire l’economia su fondamenta più solide» ma «serve lo stesso sforzo, la stessa condivisione delle responsabilità  e la stessa audace sperimentazione perseguita da Roosevelt. È la strada più dura, ma porterà  lontano».
Un leader, Obama, che però sa di essere appeso a una percentuale: «Se i dati sull’occupazione di agosto che verranno pubblicati 10 ore dopo il discorso alla convention di Charlotte saranno negativi, l’effetto delle sue parole, per quanto seducenti possano essere, svanirà », sostiene Bill Schneider, politologo della «Third Way», il «pensatoio» riformista di Washington. Conferma il sondaggista John Zogby: «I risultati di mesi di indagini ci dicono che se la disoccupazione scende sotto l’8 per cento, il presidente la spunta. All’8,2, il livello di luglio, siamo a un incerto pareggio, mentre se si sale verso il 9 per cento vince probabilmente Romney».
Obama conosce i rischi che corre col fattore lavoro, ma reagisce da combattente e col discorso di accettazione della candidatura democratica che ha pronunciato ieri sera a conclusione della convention democratica, ha cercato di recuperare almeno in parte la sua «capacità  di volare». Ce l’ha messa tutta, insistendo anche sulle realizzazioni di una presidenza che passa, nel giudizio dell’americano medio, per abbastanza inconcludente: la riforma sanitaria, quella dei mercati finanziari, il salvataggio dell’auto, la riattivazione dell’economia dopo la «gelata» del credito nell’ultimo scorcio della presidenza Bush, il settore manifatturiero che cresce e assume per la prima volta dopo molti anni.
Certo, nulla a che fare con la magia di una notte di Denver, quattro anni fa, quando quel ragazzo nero di Chicago con la passione della politica divenne l’incarnazione fisica del sogno americano. Fino all’eccesso di trasformare la sua immagine in quella di un messia della politica capace di sfuggire alla forza di gravità  dei partiti e di cambiare il modo di governare: un’illusione figlia delle enormi aspettative che erano state alimentata dallo stesso candidato democratico, lesto nel capire come sfruttare la stanchezza della gente per i giochi tortuosi di Washington, ma incapace di incidere su quella realtà , una volta arrivato alla Casa Bianca.
Ieri sera, salendo sul palco della Time Warner Arena di Charlotte, Barack Obama non ha cercato di ispirare: più che promettere e alimentare nuove speranze, ha chiesto pazienza. Poi si è dovuto rimboccare le maniche per convincere il suo popolo di essere un buon politico, un buon leader e, sì, anche un buon comunicatore. Michelle, con la forza della sua immensa popolarità , aveva già  persuaso gli americani del suo impegno, della sua generosità  e volontà  di riscatto: «Mio marito non è uno che, una volta arrivato al successo, si chiude la porta alle spalle». Ma adesso tocca a lui convincere la gente di essere anche un buon politico, di poter recuperare gli strumenti necessari per governare con efficacia e anche di essere un buon comunicatore.
Sembra un paradosso: dall’apoteosi alla convenzione di Denver fino all’uso capillare degli strumenti della comunicazione digitale e dei social media, Obama passa per un maestro in quanto a capacità  di trasmettere il suo messaggio. Eppure l’altra sera alla convention Bill Clinton gli ha dato, in un certo senso, una lezione trasformando con un’immediatezza disarmante le nuove norme che impongono ai costruttori di produrre vetture che consumano meno in un assai più comprensibile «spenderete la metà  per andare in giro con la vostra auto». Ma, soprattutto, un presidente che ha l’indubbio merito di aver tenuto l’America sicura e di aver combattuto con efficacia il terrorismo — i temi dell’intervento di John Kerry — e che imputa ai repubblicani una rigidità  ideologica e un’ostilità  nei suoi confronti che hanno paralizzato la politica e danneggiato il Paese, come ha denunciato il suo vice, Joe Biden, ha cercato di convincere gli americani delle sue doti politiche e di leadership. L’ha fatto con vigore e dovrà  continuare a farlo nelle prossime settimane perché questo è il suo fianco scoperto: è vero che ha dovuto affrontare una crisi economica di una gravità  senza precedenti e che i repubblicani a volte hanno giocato allo sfascio. Ma molti, anche tra gli analisti democratici, pensano che nei momenti-chiave — la riforma sanitaria e la battaglia sul debito pubblico di un anno fa — Obama e il suo team abbiano commesso grossi errori.
È il tema di The Price of Politics, il prezzo della politica, il nuovo libro di Bob Woodward (uno dei due «eroi» del Watergate) che, prima ancora di essere pubblicato, fa già  discutere: descrive il fallimento della trattativa dell’agosto 2011 tra Obama e il leader dei repubblicani, John Boehner, come il frutto di un mix esplosivo di calcoli politici errati, incomprensioni, cattiva comunicazione. Col presidente che, nel momento cruciale, invita alla Casa Bianca i quattro leader di repubblicani e democratici alla Camera e al Senato. E quando loro gli chiedono di uscire dalla stanza per lasciarli liberi di parlare tra loro, lui prima si inalbera, poi se ne va, rassegnato: «È il momento in cui il Congresso prende il sopravvento sulla Casa Bianca», sostiene, lapidario, Woodward. Obama adesso deve disinnescare gli effetti negativi di queste ricostruzioni e convincere tutti che saprà  riaprire il dialogo bipartisan per le indispensabili riforme.


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