No di Rajoy alla Catalogna Niente autonomia fiscale

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MADRID — Fumata nera. Madrid e Barcellona non hanno trovato ieri alcun accordo su come dividersi le tasse raccolte in Catalogna. I catalani chiedevano un «patto fiscale» diverso da quello in vigore da trent’anni. Una revisione (a loro favore) che permettesse di mantenere servizi pubblici e sovvenzioni alla politica identitaria, vale a dire scuole, libri, film, tv, radio, giornali persino videogiochi e applicazioni per telefonini in catalano. Tutto ciò a dispetto della crisi economica e del calo delle entrate fiscali. Il governo centrale ha risposto picche. Si è nascosto dietro il rispetto della Costituzione e della parità  di trattamento tra le Regioni spagnole. Per Madrid ogni discussione è rimandata all’anno prossimo quando scadrà  l’accordo siglato dalle varie autonomie locali. Nessun trattamento privilegiato, quindi. Una decisione intollerabile in una regione dove sui muri si legge «Catalogna non è Spagna».
Il «choque de tren», lo scontro dei treni, come gli spagnoli chiamano il conflitto serpeggiante tra Barcellona e Madrid, le due capitali economiche della Spagna, appare sempre più probabile. «Oggi è stata sprecata un’occasione storica per la comprensione tra Catalogna e il resto della Spagna — ha detto il “governatore” catalano Artur Mas —. L’incontro non è andato bene, è stato deludente, perfino triste». Mas era arrivato a Madrid forte della manifestazione della settimana scorsa, quando un milione e mezzo di persone avevano celebrato la festa nazionale catalana chiedendo l’indipendenza. Il premier Mariano Rajoy non ha degnato l’avversario neppure di una replica personale affidando le sue bacchettate a un comunicato: «La gravissima crisi attuale si supera con la corresponsabilità  e la coesione, non con la divisione o la instabilità  istituzionale».
Da oggi in avanti, per alzare il livello dello scontro, i due devono solo scegliere le frecce da usare. Rajoy ha concesso, in linea di principio, 5 miliardi per tappare il buco nelle finanze catalane. Ma per farlo potrebbe porre condizioni, controllare bilanci, imporre tagli selettivi alle spese. Il «governatore» Mas ha già  annunciato che, sentito il Parlamento regionale, potrebbe convocare il voto anticipato. Elezioni che si trasformerebbero in un referendum sull’indipendenza catalana e che comunque potrebbero dare all’autogoverno regionale un carattere esplicitamente indipendentista.
Persino re Juan Carlos era intervenuto martedì con un insolito messaggio al Paese: «Non inseguiamo chimere, non roviniamo il benessere che ci è tanto costato raggiungere». Oggi Rajoy sarà  a Roma all’assise dei Democratici di centro. Ci arriva con l’incubo dei fallimenti bancari, la disoccupazione al 25%, il crollo nei consensi, l’autunno rovente promesso dai sindacati, l’insofferenza del suo stesso Partido Popular dove c’è chi spera nel ritorno dell’ex premier José Maria Aznar e, infine, il treno catalano in rotta di collusione.
A Madrid molti sono convinti che Rajoy stia guadagnando tempo per difendere se stesso. Vuole presentare come una propria iniziativa le ulteriori misure di austerità  che l’Europa pretende in cambio dell’acquisto di debito pubblico. «Voci» corroborate ieri dal sito del Financial Times. Alcuni «esperti europei», scrive il quotidiano, «lavorano dietro le quinte» per indirizzare un «nuovo piano del governo spagnolo che potrebbe essere presentato già  settimana prossima». A ben vedere, però, decidere quando ufficializzare la richiesta di salvataggio, è solo uno dei problemi di Rajoy. Neanche il più spinoso.


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