Mutui a tasso doppio e imprese soffocate la Bce in soccorso di Italia e Spagna

by Sergio Segio | 5 Settembre 2012 7:42

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A luglio avete fatto un mutuo per la casa nuova. Tasso variabile, scadenza oltre dieci anni. Bel colpo: a giugno, avreste pagato di più. In Europa, un mutuo immobiliare così costa il 3,62 per cento l’anno, in calo rispetto a giugno. Come? Strabuzzate gli occhi? Non è quello che dicono le vostre carte? Non siete i soli. Il vostro vicino di casa, un imprenditore, contemporaneamente a voi ha preso dalla banca un prestito di 1 milione di euro a 3 mesi. Nell’eurozona, un prestito come quello, a luglio, costava ad un’azienda il 2,24 per cento, con un bel risparmio sul 2,44 di giugno. E’ diventato anche lui tutto rosso e respira a fatica? Logico: avete tutt’e due pagato ben di più. In effetti, quei tassi, che la Banca centrale europea ha comunicato lunedì, sono delle medie fra i 17 paesi dell’eurozona. E queste medie nascondono situazioni radicalmente differenti e, soprattutto, tendenze diametralmente opposte. L’Europa della moneta unica è spaccata a metà  e le due parti si stanno allontanando sempre più in fretta.

Frammentazione pericolosa
E’ la frammentazione monetaria di cui parla Mario Draghi e la ragione per cui il presidente della Bce sostiene che sia necessaria la battaglia contro gli spread per ricondurre ad unità  la moneta unica. L’archivio statistico della Bce fornisce un quadro dettagliato di come si stiano divaricando i tassi d’interesse nei singoli paesi, senza che la Bce, come sarebbe suo compito, riesca ad influenzarli. Una famiglia italiana paga un mutuo ipotecario per la casa il 4,86 per cento l’anno. In Germania, lo stesso mutuo costa il 3 per cento e, in Finlandia, meno anche del 2,5 per cento, praticamente la metà . Anche più vistose, e gravide di conseguenze, le differenze per le imprese. Un’azienda italiana, per un prestito di 1 milione di euro a cinque anni (il finanziamento classico di una piccola e media impresa) paga un tasso annuo del 6,24 per cento. In Spagna, il costo arriva al 6,5 per cento. Ma una analoga impresa tedesca paga solo il 4,04 per cento e un austriaca il 3,12, meno della metà  del concorrente italiano.

Il paradosso
Il paradosso è che il costo del credito è più alto nei paesi che, come Italia e Spagna, sono in recessione e avrebbero bisogno di credito facile per rilanciarsi. Al contrario, il costo del credito li svantaggia rispetto agli altri concorrenti europei. Le prediche sulla competitività  e sulla necessità  che Italia e Spagna si alzino al livello, ad esempio, della Germania dovrebbero tener conto del fatto che le imprese tedesche si finanziano ad un costo del 50 per cento inferiore a quello italiano: non sempre è colpa dei salari.
Bce ignorata
Ma, dal punto di vista dell’istituto di emissione, c’è un altro elemento di preoccupazione. Rispetto ad un anno fa, il tasso di interesse applicato dalla Bce è stato dimezzato, per facilitare la ripresa: dall’1,5 per cento del luglio 2011 allo 0,75 di oggi. Ma l’impulso è stato raccolto in modo diversissimo e contrastante dai singoli paesi. Come voleva la Bce, i tassi praticati alle imprese, in un anno, sono crollati in Germania (dal 4,70 al 4,04 per cento), in Francia (dal 4,61 al 4,14 per cento), in Finlandia (4,19-3,61 per cento) e in Austria (fino ad un intero punto percentuale). Ma sono invece schizzati, contro la volontà  di Francoforte, verso l’alto in Italia (dal 5,14 al 6,24 per cento) e in Spagna (dal 5,88 al 6,5 per cento). Differenze fra i tassi possono essere giustificate, ma non i loro movimenti. Se la Bce gestisce la politica monetaria dell’Eurozona, deve essere almeno in grado di spingerli, tutti insieme, o su o giù. Invece, avrebbe confessato lo stesso Draghi, se ne accorgono «solo uno o due paesi al massimo». Sembra il comandante di una nave a cui l’ufficiale di sala macchine comunica che sta aprendo e chiudendo le valvole, ma, nei tubi, il vapore va dove gli pare: è saltato qualche bullone negli ingranaggi.

Aggiustamenti
Perché questo bullone dovrebbero essere gli spread sui titoli pubblici, che ora Draghi vorrebbe attaccare? Perché il rendimento dei titoli di Stato è, abitualmente, il parametro su cui viene calcolato il prezzo che una banca dello stesso paese paga per finanziarsi sul mercato. Se il Tesoro paga il 6 per cento per indebitarsi a 10 anni, è difficile che Unicredit paghi di meno sulle sue obbligazioni. Il costo del finanziamento della banca si riflette, poi, sul costo dei crediti che eroga. Il risultato è che, a determinare il tasso sul vostro mutuo non è, come sarebbe nei suoi compiti, la decisione sui tassi di interesse della Bce, ma sono i movimenti speculativi dei capitali che abbandonano Italia e Spagna (costringendole a pagare rendimenti sempre più alti) e si affollano in Germania (spingendo verso zero i tassi sui Bund). Ecco perché Draghi respinge l’accusa di voler finanziare i bilanci statali e sostiene che l’intervento anti-spread rientra nel mandato statutario della Bce. Questi movimenti di capitali sono un altro segno della frammentazione monetaria che preoccupa Draghi. In buona sostanza, ci sono sempre meno capitali di altri paesi europei nei mercati del debito pubblico italiano e spagnolo e sempre di più in quello tedesco. Nei paesi deboli, a sostenere i titoli pubblici sono rimaste quasi solo le banche nazionali Secondo il database preparato da un centro di ricerca europeo, Bruegel, la quota di debito pubblico italiano in mano a non residenti è scesa, fra metà  e fine 2011, dal 55 al 40 per cento. Secondo Morgan Stanley, fra gennaio e agosto si sarebbe ulteriormente ridotta al 30 per cento. A Londra parlano apertamente – anche se pronunciarlo non è facile – di “deeuroizzazione”.

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