Maurizio Landini: «Chiedo a Fim e Uilm assemblee unitarie in tutti gli stabilimenti»

by Sergio Segio | 20 Settembre 2012 9:33

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«Marchionne la sua l’ha sostanzialmente già  detta. A questo punto è il governo che deve chiedergli conto degli impegni presi, degli investimenti annunciati, in un confronto che definisca anche le scelte strategiche del Paese su mobilità  e trasporti. Siamo di fronte a una precisa questione: il settore dell’auto è strategico per l’Italia? Io credo proprio di sì, il governo chiarisca la sua posizione: perché il rischio concreto è che il nostro sistema industriale salti, il che significherebbe un crollo drammatico dell’occupazione ed anche la dispersione delle nostre competenze, con il conseguente arretramento del ruolo dell’Italia nel mondo e nel mercato globale». Parla il segretario della Fiom Cgil Maurizio Landini, alla vigilia dell’incontro tra Monti e Marchionne, «che dice mi auguro venga seguito anche da un confronto con tutte le organizzazioni sindacali».
In questo momento sarebbe essenziale ritrovare un fronte sindacale unito: lo chiede Camusso, si dice d’accordo Bonanni. Lei come risponde?
«Rispondo con un fatto: la Fiom ha già  chiesto a Fim e Uilm di convocare assemblee unitarie in ogni stabilimento Fiat, perché qui tutti stanno discutendo del futuro del gruppo tranne i lavoratori. L’unità  si può ricostruire a partire dalla libertà  sindacale, che è un diritto costituzionale dei lavoratori. La Fiom non ha mai firmato, e non lo farà  mai, accordi che escludano altre organizzazioni, e credo che questa sia la base di partenza per tutti. Aver ceduto a Fiat su questo punto è stato un errore, ma adesso è il momento di guardare avanti: abbiamo avanzato delle proposte per uscire da questa fase, siamo in attesa di risposte. Comunque anche questo è un tema sul quale io credo il governo debba chiedere conto a Marchionne».
Il tema della libertà  sindacale?
«Certo. Deve chiarirgli la necessità  che le leggi vengano rispettate, e che la violazione dei principi sindacali sanciti anche dalla Costituzione non può che essere condannata, come già  accaduto. In tutto il gruppo alla Fiom viene negata la possibilità  di fare normale attività  sindacale, e questo non è ammissibile».
In un passaggio dell’intervista a Repubblica, Marchionne ha proprio citato le oltre 70 cause della Fiom come uno dei motivi per la mancata realizzazione di Fabbrica Italia.
«È un problema facilmente risolvibile: basta garantire a tutti i lavoratori il diritto a scegliersi il proprio sindacato. Ripristinare una libertà  peraltro regolata attraverso leggi che, ripeto, il governo ha il compito di far rispettare».
Il punto cruciale è che ogni investimento è rinviato (almeno) al 2014.
«Già  nel 2009 Marchionne aveva rinviato gli investimenti al 2012, e si vede che cos’è accaduto in termini di perdita di quote di mercato. Succede in qualsiasi azienda: senza investimenti, alla lunga la quota si erode e in ultima analisi si è fuori dal mercato. Tra l’altro, Fiat non investe in Italia, ma lo fa invece in Usa, Brasile, piuttosto che in Serbia e in Polonia. Attenzione, perché questo degli investimenti mancati è un problema che riguarda l’intero sistema industriale, dall’Ilva all’Alcoa a Finmeccanica a Fincantieri. Senza, dalla crisi non si esce». L’ad sostiene che con modelli nuovi avrebbe perso più che guadagnato.
«Gli altri produttori europei sono usciti con modelli nuovi e perdono meno di Fiat. In Italia non esiste sovrapproduzione, è che gli italiani comprano da altre case. I dipendenti sono tutti in cig per questo, perché non esistono modelli su cui lavorare. Però esistono le competenze per costruire le auto: a Torino sono 110 anni che si producono auto, Marchionne o non Marchionne. Oltre al fatto che c’è un moderno centro di ricerca e innovazione, ormai sottoutilizzato anch’esso. Allora: io non sono affatto favorevole a che Fiat se ne vada, ma di sicuro questo saper fare non si può disperdere in Usa o chissà  dove. Piuttosto, si favorisca l’arrivo anche di altri produttori, in un’idea di sana competizione peraltro diffusa in molti Paesi. Ricordo che Volkswagen ha già  acquistato i marchi Ducati e Lamborghini, e che da questa operazione è nata maggiore occupazione. Certo, si tratta di fare degli accordi, sempre sulla base di strategie industriali che il governo dovrebbe indicare. Il che significa anche favorire fiscalmente le aziende che innovano, che investono, che evitano licenziamenti attraverso i contratti di solidarietà ».
Marchionne ovviamente è il primo a sapere quello che fanno i suoi concorrenti: allora, perché dichiarazioni così difensive? Che cosa pensa abbia in mente, abbandonare progressivamente l’Italia punto e basta?
«Credo che alla base delle sue strategie ci sia stato un errore di valutazione dell’andamento del mercato. Il punto è che l’Europa resta il mercato più avanzato, e il punto nevralgico per un gruppo che si voglia davvero dire globale. Ritrarsi per concentrarsi solo su Brasile e Usa non è strategico».

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Maurizio Landini: «Chiedo a Fim e Uilm assemblee unitarie in tutti gli stabilimenti»

by Sergio Segio | 20 Settembre 2012 9:33

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«Marchionne la sua l’ha sostanzialmente già  detta. A questo punto è il governo che deve chiedergli conto degli impegni presi, degli investimenti annunciati, in un confronto che definisca anche le scelte strategiche del Paese su mobilità  e trasporti. Siamo di fronte a una precisa questione: il settore dell’auto è strategico per l’Italia? Io credo proprio di sì, il governo chiarisca la sua posizione: perché il rischio concreto è che il nostro sistema industriale salti, il che significherebbe un crollo drammatico dell’occupazione ed anche la dispersione delle nostre competenze, con il conseguente arretramento del ruolo dell’Italia nel mondo e nel mercato globale». Parla il segretario della Fiom Cgil Maurizio Landini, alla vigilia dell’incontro tra Monti e Marchionne, «che dice mi auguro venga seguito anche da un confronto con tutte le organizzazioni sindacali».
In questo momento sarebbe essenziale ritrovare un fronte sindacale unito: lo chiede Camusso, si dice d’accordo Bonanni. Lei come risponde?
«Rispondo con un fatto: la Fiom ha già  chiesto a Fim e Uilm di convocare assemblee unitarie in ogni stabilimento Fiat, perché qui tutti stanno discutendo del futuro del gruppo tranne i lavoratori. L’unità  si può ricostruire a partire dalla libertà  sindacale, che è un diritto costituzionale dei lavoratori. La Fiom non ha mai firmato, e non lo farà  mai, accordi che escludano altre organizzazioni, e credo che questa sia la base di partenza per tutti. Aver ceduto a Fiat su questo punto è stato un errore, ma adesso è il momento di guardare avanti: abbiamo avanzato delle proposte per uscire da questa fase, siamo in attesa di risposte. Comunque anche questo è un tema sul quale io credo il governo debba chiedere conto a Marchionne».
Il tema della libertà  sindacale?
«Certo. Deve chiarirgli la necessità  che le leggi vengano rispettate, e che la violazione dei principi sindacali sanciti anche dalla Costituzione non può che essere condannata, come già  accaduto. In tutto il gruppo alla Fiom viene negata la possibilità  di fare normale attività  sindacale, e questo non è ammissibile».
In un passaggio dell’intervista a Repubblica, Marchionne ha proprio citato le oltre 70 cause della Fiom come uno dei motivi per la mancata realizzazione di Fabbrica Italia.
«È un problema facilmente risolvibile: basta garantire a tutti i lavoratori il diritto a scegliersi il proprio sindacato. Ripristinare una libertà  peraltro regolata attraverso leggi che, ripeto, il governo ha il compito di far rispettare».
Il punto cruciale è che ogni investimento è rinviato (almeno) al 2014.
«Già  nel 2009 Marchionne aveva rinviato gli investimenti al 2012, e si vede che cos’è accaduto in termini di perdita di quote di mercato. Succede in qualsiasi azienda: senza investimenti, alla lunga la quota si erode e in ultima analisi si è fuori dal mercato. Tra l’altro, Fiat non investe in Italia, ma lo fa invece in Usa, Brasile, piuttosto che in Serbia e in Polonia. Attenzione, perché questo degli investimenti mancati è un problema che riguarda l’intero sistema industriale, dall’Ilva all’Alcoa a Finmeccanica a Fincantieri. Senza, dalla crisi non si esce». L’ad sostiene che con modelli nuovi avrebbe perso più che guadagnato.
«Gli altri produttori europei sono usciti con modelli nuovi e perdono meno di Fiat. In Italia non esiste sovrapproduzione, è che gli italiani comprano da altre case. I dipendenti sono tutti in cig per questo, perché non esistono modelli su cui lavorare. Però esistono le competenze per costruire le auto: a Torino sono 110 anni che si producono auto, Marchionne o non Marchionne. Oltre al fatto che c’è un moderno centro di ricerca e innovazione, ormai sottoutilizzato anch’esso. Allora: io non sono affatto favorevole a che Fiat se ne vada, ma di sicuro questo saper fare non si può disperdere in Usa o chissà  dove. Piuttosto, si favorisca l’arrivo anche di altri produttori, in un’idea di sana competizione peraltro diffusa in molti Paesi. Ricordo che Volkswagen ha già  acquistato i marchi Ducati e Lamborghini, e che da questa operazione è nata maggiore occupazione. Certo, si tratta di fare degli accordi, sempre sulla base di strategie industriali che il governo dovrebbe indicare. Il che significa anche favorire fiscalmente le aziende che innovano, che investono, che evitano licenziamenti attraverso i contratti di solidarietà ».
Marchionne ovviamente è il primo a sapere quello che fanno i suoi concorrenti: allora, perché dichiarazioni così difensive? Che cosa pensa abbia in mente, abbandonare progressivamente l’Italia punto e basta?
«Credo che alla base delle sue strategie ci sia stato un errore di valutazione dell’andamento del mercato. Il punto è che l’Europa resta il mercato più avanzato, e il punto nevralgico per un gruppo che si voglia davvero dire globale. Ritrarsi per concentrarsi solo su Brasile e Usa non è strategico».

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In questo momento sarebbe essenziale ritrovare un fronte sindacale unito: lo chiede Camusso, si dice d’accordo Bonanni. Lei come risponde?
«Rispondo con un fatto: la Fiom ha già  chiesto a Fim e Uilm di convocare assemblee unitarie in ogni stabilimento Fiat, perché qui tutti stanno discutendo del futuro del gruppo tranne i lavoratori. L’unità  si può ricostruire a partire dalla libertà  sindacale, che è un diritto costituzionale dei lavoratori. La Fiom non ha mai firmato, e non lo farà  mai, accordi che escludano altre organizzazioni, e credo che questa sia la base di partenza per tutti. Aver ceduto a Fiat su questo punto è stato un errore, ma adesso è il momento di guardare avanti: abbiamo avanzato delle proposte per uscire da questa fase, siamo in attesa di risposte. Comunque anche questo è un tema sul quale io credo il governo debba chiedere conto a Marchionne».
Il tema della libertà  sindacale?
«Certo. Deve chiarirgli la necessità  che le leggi vengano rispettate, e che la violazione dei principi sindacali sanciti anche dalla Costituzione non può che essere condannata, come già  accaduto. In tutto il gruppo alla Fiom viene negata la possibilità  di fare normale attività  sindacale, e questo non è ammissibile».
In un passaggio dell’intervista a Repubblica, Marchionne ha proprio citato le oltre 70 cause della Fiom come uno dei motivi per la mancata realizzazione di Fabbrica Italia.
«È un problema facilmente risolvibile: basta garantire a tutti i lavoratori il diritto a scegliersi il proprio sindacato. Ripristinare una libertà  peraltro regolata attraverso leggi che, ripeto, il governo ha il compito di far rispettare».
Il punto cruciale è che ogni investimento è rinviato (almeno) al 2014.
«Già  nel 2009 Marchionne aveva rinviato gli investimenti al 2012, e si vede che cos’è accaduto in termini di perdita di quote di mercato. Succede in qualsiasi azienda: senza investimenti, alla lunga la quota si erode e in ultima analisi si è fuori dal mercato. Tra l’altro, Fiat non investe in Italia, ma lo fa invece in Usa, Brasile, piuttosto che in Serbia e in Polonia. Attenzione, perché questo degli investimenti mancati è un problema che riguarda l’intero sistema industriale, dall’Ilva all’Alcoa a Finmeccanica a Fincantieri. Senza, dalla crisi non si esce». L’ad sostiene che con modelli nuovi avrebbe perso più che guadagnato.
«Gli altri produttori europei sono usciti con modelli nuovi e perdono meno di Fiat. In Italia non esiste sovrapproduzione, è che gli italiani comprano da altre case. I dipendenti sono tutti in cig per questo, perché non esistono modelli su cui lavorare. Però esistono le competenze per costruire le auto: a Torino sono 110 anni che si producono auto, Marchionne o non Marchionne. Oltre al fatto che c’è un moderno centro di ricerca e innovazione, ormai sottoutilizzato anch’esso. Allora: io non sono affatto favorevole a che Fiat se ne vada, ma di sicuro questo saper fare non si può disperdere in Usa o chissà  dove. Piuttosto, si favorisca l’arrivo anche di altri produttori, in un’idea di sana competizione peraltro diffusa in molti Paesi. Ricordo che Volkswagen ha già  acquistato i marchi Ducati e Lamborghini, e che da questa operazione è nata maggiore occupazione. Certo, si tratta di fare degli accordi, sempre sulla base di strategie industriali che il governo dovrebbe indicare. Il che significa anche favorire fiscalmente le aziende che innovano, che investono, che evitano licenziamenti attraverso i contratti di solidarietà ».
Marchionne ovviamente è il primo a sapere quello che fanno i suoi concorrenti: allora, perché dichiarazioni così difensive? Che cosa pensa abbia in mente, abbandonare progressivamente l’Italia punto e basta?
«Credo che alla base delle sue strategie ci sia stato un errore di valutazione dell’andamento del mercato. Il punto è che l’Europa resta il mercato più avanzato, e il punto nevralgico per un gruppo che si voglia davvero dire globale. Ritrarsi per concentrarsi solo su Brasile e Usa non è strategico».

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