Marchionne rientra in Italia

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Sergio Marchionne non è sorpreso per le polemiche suscitate da un comunicato — l’annullamento della dizione Fabbrica Italia, sostituita dal nome Fiat — che voleva essere solo un chiarimento per rispondere alle infondate voci di disimpegno industriale dall’Italia. Ha sortito l’effetto contrario. La sua dichiarazione è stata interpretata da politici impegnati nell’avvio della campagna elettorale e in cerca di consensi nei sindacati. Sergio Marchionne non vuole rilasciare commenti, benché sia in arrivo in Italia e forse in alcune occasioni ufficiali dirà  come la pensa. A colpirlo, soprattutto le parole di alcuni uomini pubblici: la difesa della pace sociale è un valore, ma il rischio delle pianificazioni industriali può portare a esiti disastrosi, è il timore.

Il manager è stato giudicato per decisioni che non ha preso e di cui non si conosce la proiezione futura. Di recente Marchionne aveva detto: «Da parte nostra c’è la volontà  di usare gli asset produttivi in Europa per il mercato americano. Questo è il nostro progetto». Ma benché l’Italia sia al centro dei progetti europei del manager, nessuno ora ricorda queste sue parole. Già  all’inizio dell’anno l’amministratore delegato del Lingotto aveva richiamato gli stessi concetti: «Le fabbriche di Chrysler stanno marciando a pieno ritmo, la domanda del mercato americano potrà  essere soddisfatta solo con la produzione che arriva dagli stabilimenti messicani, canadesi ed europei. Gli impianti italiani potrebbero avere l’opportunità  di esportare negli Stati Uniti».
Quando Sergio Marchionne era arrivato in Fiat nel 2004, l’azienda era prossima a un fallimento che avrebbe causato la perdita di posti in tutte le fabbriche, mettendo sul lastrico circa 130 mila dipendenti e le loro famiglie. Invece di disperdere le proprie energie verso settori diversificati si è concentrato sull’auto imitando — e pare un paradosso — la strategia del gruppo Volkswagen che da 30 anni investe in ricerca e sviluppo del settore automotive.
L’alleanza con Chrysler, avviata quando il gruppo di Detroit era sull’orlo del baratro e la crisi colpiva duramente l’America (mentre non aveva ancora contagiato l’Europa), era giudicata una scommessa persa in partenza. Oggi la Fiat è una multinazionale grazie al legame con Chrysler, produce in tutto il mondo, sta forzando i ritmi dove la richiesta di prodotto è in crescita. In Cina, Paese in cui la domanda di vetture di lusso è stagnante, è iniziata la commercializzazione della Viaggio, una berlina che si inserisce in un segmento di larga diffusione, destinata alla classe media, progettata e ingegnerizzata in Italia, ma costruita in loco, per renderla competitiva. La sede di uno stabilimento viene decisa secondo i volumi di vendita realizzabili in quell’area e l’export che può generare. Un terreno delicato quello dei piani industriali che si incrocia con il ruolo di uno Stato che è quello di difendere e promuovere le proprie risorse industriali, creando una politica di gestione dei cicli economici, anticipandoli, prima che si manifestino.
Ai suoi non nasconde la sua delusione per l’accusa di aver tradito e ingannato l’Italia, quando ha fatto di Pomigliano lo stabilimento faro europeo, elogiato dagli stessi ministri: ha portato qui la sua macchina più importante, la Nuova Panda che gira — è vero — solo intorno ai 120 mila pezzi. Ma questo dipende dalla carente richiesta del mercato europeo, che coinvolge tutte le case costruttrici generaliste. Dal 2013 sarà  poi affiancata dalla Panda 4×4, per arrivare a una produzione di circa 180 mila unità . Marchionne, che non frequenta nessun salotto, né torinese né romano, conta su un alto consenso nei media internazionali e fra i suoi stessi concorrenti, che non comprendono perché in Italia si creino questi scontri personali.
Intanto, Moody’s segnala che i margini di Fiat, Peugeot e Renault sono sotto pressione a causa del calo della domanda in Europa e della sovracapacità  produttiva.
Bianca Carretto


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