L’utopia degli scrittori figlia di Don Chisciotte
Eppure la sconfitta dell’utopia, di ogni utopia — poco importa se da noi condivisa o no — aiuta a capire che il mondo ha bisogno di essere migliorato e che è indispensabile continuare a migliorarlo; innanzitutto correggendo la strada che si è intrapresa quando ci si accorge che è sbagliata, e poi immaginando altre strade. Nella sua necessaria fantasia la letteratura ha una grande funzione, anche rispetto alla società ; non certo perché ha il compito di proporre programmi politici o ideologici, ma piuttosto di far sentire, toccare con mano, questa necessità avventurosa di creare ogni volta un nuovo mondo.
Un’altra cosa che accomuna me e Vargas Llosa è la riflessione sul rapporto tra la scrittura che inventa (la fiction che finge, potremmo anche dire che «mente») e l’impegno per la verità , ineludibile nel nostro confronto col mondo e con la necessità di mutarlo.
In una raccolta di saggi che ho citato, Vargas Llosa denuncia la caduta dell’impegno nella letteratura contemporanea, dato che nell’epoca attuale parrebbe che molti autori abbiano rinunciato a quello che una volta si chiamava l’engagement.
Egli dice inoltre che in America Latina uno scrittore non è soltanto scrittore ma, inevitabilmente, qualcosa d’altro. E aggiunge che talvolta si è lacerati tra i propri demoni e i propri doveri verso la causa pubblica e che, in tal caso, bisogna essere fedeli in primo luogo ai propri demoni.
È questo, ritengo, un problema fondamentale per la letteratura, spesso una vera contraddizione.
C’è l’intellettuale che si vota essenzialmente ed esplicitamente alla causa pubblica e c’è lo scrittore che è essenzialmente preso dal combattimento con i propri demoni. Cosa succede quando uno scrittore è entrambe le cose, come certamente è lui e come sono anch’io? Quando cioè si sente che queste due facce sono le facce di una stessa medaglia, una cosa sola e contemporaneamente due cose diverse, e soprattutto quando ci si rende conto che dall’una nasce una scrittura molto diversa da quella che nasce dall’altra?
Leggere La casa verde o Conversazione nella “catedral” o tanti altri libri di Vargas Llosa è un’esperienza simile ma anche molto diversa dal leggere Sables y utopàas.
Lo stile, la lingua sono radicalmente diversi, perché in un caso si tratta di un linguaggio che vuole esplicitamente definire, giudicare, difendere o combattere, mentre nell’altro si tratta di un linguaggio che vuole essenzialmente narrare, far vivere le contraddizioni piuttosto che risolverle o giudicarle.
In un caso non si può, nell’altro si può e talora si deve deformare la realtà per capirne il senso e la verità più profonda.
Non credo, soprattutto per quel che riguarda lo stile, che si tratti di una scelta deliberata, perché uno scrittore non sceglie bensì fa quello che può ossia quello che deve; è la vicenda, l’oggetto che gli dettano per così dire lo stile, l’incalzare paratattico delle chiare e nette definizioni oppure la struttura ipotattica che cerca di afferrare contemporaneamente la complessità contraddittoria delle cose.
Related Articles
CLAUDIO MAGRIS
È stato pubblicato il primo volume dei Meridiani con le opere dello scrittore sulla cultura mitteleuropea Quei racconti sulle rive del Danubio quando la Storia non era ancora finita
Un anno nel segno di Joyce