«Stiamo perdendo le primavere arabe»
Secondo il filosofo, nelle società islamiche c’è uno spazio, sia pure al momento esiguo, per una fioritura «a lunga scadenza», di movimenti democratici.
Che cosa pensa della Libia?
«Che è un Paese in preda a tremende convulsioni, con un governo che forse ha il controllo di Tripoli ma non della maggioranza del Paese, con milizie guidate da signori della guerra, con gruppi terroristici, con formazioni islamiche estremiste. Questa situazione l’abbiamo prodotta noi, bombardando la Libia per rovesciare Gheddafi senza sapere chi ne avrebbe preso il posto e se sarebbe stato in grado di governare. Io mi ero opposto al nostro intervento per queste ragioni. Purtroppo, non sarà possibile rimediarvi in fretta».
Eppure, avete molta influenza sulla Libia.
«Fino a un certo punto. I bombardamenti, anche se bene intenzionati, finiscono per alienare la gente che li subisce. Guardi l’Iraq: lo abbiamo liberato da Saddam come abbiamo liberato la Libia da Gheddafi, ma i nostri rapporti con esso sono tesi. L’Iraq sta aiutando l’Iran a fornire armi e approvvigionamenti alla Siria contro gli insorti».
Di qui il suo timore che l’America resti isolata nel mondo islamico?
«Per ora non siamo isolati. I Paesi sunniti del Golfo Persico e del Medio Oriente ci sono amici, e appoggiano i nostri sforzi per impedire che l’Iran, una repubblica sciita, si procuri l’atomica. Ma l’isolamento diverrà probabile se continueremo a sbagliare politica. In Medio Oriente, con la possibile eccezione della Tunisia, non ci sono democrazie filoamericane, e nel Golfo Persico abbiamo come alleati regimi autoritari, cosa che fa il gioco del radicalismo islamico».
Non puntavate sulla Primavera araba?
«Sì, ma è una scommessa che potremmo ancora perdere. I movimenti “liberal” e democratici sono deboli, e non riescono a riempire il vuoto provocato della caduta dei despoti. Il vuoto lo riempiono o le forze armate o le forze religiose. Avremmo dovuto saperlo ed essere più previdenti. Al momento possiamo solo sperare che le forze armate e quelle religiose si equilibrino a vicenda, come sembra si stia verificando in Egitto tra i Fratelli musulmani e l’esercito. Perché? Perché così lasciano spazio a una terza forza, quella della società civile, per svilupparsi e per emergere in prosieguo di tempo».
Che cosa può fare allora l’Occidente?
«In primo luogo deve prevenire nuove guerre nel mondo islamico e deve mediare nelle rivoluzioni, o la sua instabilità minaccerà la pace mondiale. In secondo luogo deve mantenere i rapporti con i suoi governi, che a mio parere cambieranno con frequenza e non sempre per il meglio. Per ultimo, l’Occidente deve trovare il modo di difendere e di aiutare la società civile emergente nell’Islam. Più regimi moderati sorgeranno e più facile sarà guidare questi Paesi alla democrazia».
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