«Referendum? Non si può nell’anno delle elezioni»

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ROMA — «Dopo le primarie, ecco il referendum. Il centrosinistra prepara le elezioni…». Il lapidario tweet dell’onorevole Antonello Giacomelli, braccio destro di Dario Franceschini, fotografa il nuovo fronte interno che rischia di complicare a Pier Luigi Bersani il già  accidentato cammino verso Palazzo Chigi.

L’alleato Nichi Vendola e l’ex alleato Antonio Di Pietro hanno depositato in Cassazione — assieme a Paolo Ferrero (Rifondazione comunista), Oliviero Diliberto (Pdci), Angelo Bonelli (Verdi), Gianni Rinaldini (Fiom) e Gian Paolo Patta (Cgil) — due quesiti referendari sul delicatissimo tema del lavoro. Obiettivo dichiarato: raccogliere le firme (a partire dal 12 ottobre) per abrogare le modifiche all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sulla libertà  di licenziamento e ripristinare i «diritti minimi e universali» previsti dal Contratto nazionale, cancellando l’articolo 8 del decreto varato da Berlusconi un anno fa. Il problema, per il segretario del Pd, è che esponenti anche importanti del partito, come Sergio Cofferati, si sono schierati a favore. E che l’ala filo-montiana è tornata a tuonare contro la scelta del leader di allearsi con Vendola. «Il referendum è scriteriato e rischia di lacerare la possibile coalizione», dichiara il senatore veltroniano Stefano Ceccanti.
È una partita delicatissima, l’ennesima buccia di banana gettata tra i piedi di Bersani, che ha già  il problema non piccolo di Matteo Renzi in partenza col camper per le primarie. Il responsabile economico, Stefano Fassina, rivela gli umori della segreteria: «Noi diciamo no, intanto per una questione di metodo. Sulla regolazione del mercato del lavoro non possono esistere scelte unilaterali imposte a colpi di maggioranza». Poi, alle 9 di sera, da Padova, dopo una giornata di polemiche, il leader del Pd prova a sbrogliare la matassa: «La nostra non è una posizione antitetica. Abbiamo difeso la posizione di chi non voleva che si arrivasse a monetizzare il posto di lavoro e garantito che ci fosse un presidio della magistratura a proposito della giusta causa. Ma tutti sanno che nell’anno delle elezioni i referendum non si possono fare». Quindi conclude: «Mi vedo premier. Non mi ci vedo da solo, ma so quanta forza abbiamo nel Paese».
Sergio Cofferati (come Vincenzo Vita) si è schierato da subito con il comitato referendario, il che complica ancora le cose. Lo fa capire lui stesso, con una nota in cui risponde a Enrico Letta e Francesco Boccia, che invitano chi sostiene i quesiti a votare per Vendola alle primarie. L’ex sindaco di Bologna, già  leader della Cigl, si dice sorpreso e conferma la sua lealtà  al segretario del Pd: «Non capisco il loro ragionamento, ma ho provato ugualmente un forte brivido pensando a Bersani. Voglio confermare a Pier Luigi che, nonostante l’istigazione di Boccia e Letta, per quel poco che vale il mio volo non gli mancherà  di certo».
Il nodo è politico e programmatico e mette a nudo le contraddizioni sulle linea aperte dalle primarie. Con Bersani o con Renzi? Con Monti o contro? Per Rosy Bindi un Bersani «troppo rosso» rischia di spostare il baricentro del Pd verso una «superata impostazione socialdemocratica» ed è per questo che la presidente del partito sta riflettendo se presentarsi alle primarie: «Dio non voglia… La candidatura è una subordinata». Mentre Bindi rimugina, Renzi domani apre la sua campagna in camper da Verona. Lo slogan? «Adesso», lo stesso che scelse Franceschini quando sfidò Bersani nel 2010. «Se vuole gli regalo i gadget che ho in garage», lo provoca la franceschiniana Pina Picierno. Ma Renzi tira dritto, incassa l’endorsement del sindaco di Vicenza, Achille Variati, e smentisce accordi con Montezemolo in caso di sconfitta: «Non sono pronto a tutto pur di occupare una seggiola. Io, quelli che quando perdono portano via il pallone, non li sopporto». E se dovesse perdere, cosa farà ? «Il sindaco, a Firenze».


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