L’ora della rabbia a Pomigliano

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POMIGLIANO D’ARCO. Un’assemblea a Palazzo dell’orologio e la rabbia che aumenta mano mano che si susseguono gli interventi, perché degli oltre 5mila operai a Pomigliano dopo due anni ne sono stati assunti solo 2200 e ora arrivano gli allarmi dell’amministratore delegato sul futuro di una Fabbrica Italia che non c’è più, o forse non è mai esistita veramente.

Qui, nel centro del comune vesuviano, lontano dai cancelli del Gianbattista Vico, è fin troppo chiaro: «La Fiat non ha nessuna intenzione di reintegrarci tutti, Marchionne ormai lo ha detto chiaramente», mormorano tra loro le tute blu con un risentimento che cova da tempo. E anche se i metalmeccanici cigiellini agli investimenti del Lingotto non ci hanno mai creduto sul serio, quando i timori diventano concreti può succedere di prendersela con l’ex sindaco del Pd Michele Caiazzo («Ti si venduto gli operai», gli hanno urlato come si è presentato alla riunione); o chiedere il conto a quello nuovo del Pdl Lello Russo. «Ce lo ricordiamo tutti che andava in giro con il cartello della nuova Panda a dire ‘W Marchionne’, ora si piglia a carico i cassaintegrati», manda a dire una Rsu al primo cittadino rinchiuso nei suoi uffici distanti a poche centinaia di metri.
E così, piano piano, il mercurio del termometro della sopportazione sale sempre di più, pronto ad esplodere. Il segretario regionale della Fiom, Andrea Amendola, e Michele De Palma del nazionale tentano di calmare gli iscritti, ma anche dai dirigenti il messaggio è chiaro: «Che lo vogliano o meno alla Fiat devono rientrare tutti i lavoratori e non solo quelli della Fiom (che pur avendo vinto un contenzioso nelle aule dei tribunali contro l’azienda, accusata di discriminazione sindacale, ancora restano fuori dallo stabilimento, ndr)».
Alla fine, in meno di un’ora le decisioni sono prese: bisogna occupare il Municipio per chiedere un consiglio comunale aperto – promesso mesi fa dal sindaco Russo – e far partire la mobilitazione. «Andremo fin sotto la sede della regione – spiega Amendola – anche perché il governatore Caldoro aveva detto che il modello Pomigliano sarebbe stato un volano per lo sviluppo, ci aveva accusato di remare contro. Ora si faccia carico della situazione».
Detto questo, la folla esce dal portone decisa a sfilare in corteo per le strade del centro. Prima tappa il Municipio dove decine di operai cercano di sfondare il cancello, poi si arriva a una mediazione con l’amministrazione e viene programmato un incontro con il primo cittadino. Ma non basta. I lavoratori si dirigono verso la sede della Uilm. Viene srotolato uno striscione: «Contro i licenziamenti, contro gli accordi separati. Fermiamoli». La sede del sindacato è vuota. All’improvviso parte qualche uovo contro il palazzo. La polizia in assetto antisommossa tiene lontano la folla ma non può impedire i cori di rabbia: «Venduti, venduti».
Si continua a sfilare e i manifestanti decidono di bloccare l’incrocio tra via Roma e viale Alfa, la strada che porta direttamente allo stabilimento e prende appunto il nome dalla vecchia fabbrica rinominata 5 anni fa Gianbattista Vico. Dopo aver impedito per un po’ alle auto di circolare, la protesta in movimento ritorna davanti la sede del comune, dove arriva un’altra doccia fredda. Il sindaco si rifiuta di convocare l’assemblea monotematica e chiama fannulloni i lavoratori: «Un atteggiamento arrogante e inqualificabile, ora siano i consiglieri a dare una mano agli operai», dicono dalla Fiom.
Nemmeno le reazioni al gesto contro la sede della Uilm si fanno attendere ed è il segretario nazionale Rocco Palombella ad attaccare la manifestazione operaia: «Le sedi sindacali sono un pezzo della democrazia in Italia ed in questa fase delicata è sbagliato esasperare gli animi ed alzare la tensione sociale per un tornaconto di parte. Quegli agitatori, stolti e meschini, che oggi a Pomigliano hanno passato il segno vanno isolati». Se voleva essere un tentativo di buttare benzina sul fuoco, allora è intelligente.
Pronta la risposta da Pomigliano: «Siamo 3mila ad aspettare il passaggio in Fip, ci hanno appena detto che non arriverà  mai, e c’è ancora chi ha la faccia tosta di difendere quel contratto, noi non siamo esasperati: siamo incazzati».


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