Lombardia, il Pd tentato dalle dimissioni
MILANO — L’effetto del Polverini-gate nel Lazio arriva anche in Lombardia, dove il governatore Roberto Formigoni è indagato per corruzione. Il segretario regionale del Pd Maurizio Martina sfida la maggioranza di centrodestra e annuncia: «Anche qui come il Pd del Lazio, siamo pronti a dimetterci, ma chiedo a Pdl e Lega di battere un colpo perché la responsabilità è loro, i numeri sono numeri ». Una mossa per stanare la nuova Lega di Roberto Maroni e dei barbari sognanti che a suon di scope ha promesso di voler fare pulizia. Già , perché in Lombardia i rapporti di forza sono completamente diversi. La maggioranza che sostiene Formigoni può contare attualmente su 49 voti, contro i 31 del centrosinistra e l’Udc è già all’opposizione. A meno che sette tra consiglieri regionali e assessori lombardi pidiellini e leghisti indagati a vario titolo della magistratura, ma ancora in carica, decidessero, in un sussulto di orgoglio, di fare un passo indietro. Da Roberto Formigoni a Nicole Minetti. Da Gianluca Rinaldin ad Angelo Giammario. Fino a Romano La Russa e al leghista Daniele Belotti. Se facesse lo stesso anche l’ex Pd Filippo Penati, anch’egli sotto inchiesta per la vicenda della riqualificazione delle ex aree Falck a Sesto San Giovanni, a quel punto, mancherebbero solo 4 voti per sciogliere il Consiglio regionale e andare al voto
anticipato. Ipotesi al momento solo teorica. Tanto che Formigoni replica spavaldo al Pd: «Chi è questa signora Martina? Non la conosco». Il governatore lombardo nega che le dimissioni della presidente del Lazio Renata Polverini possano avere ricadute in Lombardia. «Sono due cose assolutamente diverse — spiega — La Polverini si è dimessa non per errori suoi, ma degli altri e d’altra parte era venuta meno la maggioranza». Lega e Pdl fanno quadrato e vanno addirittura oltre. «Invece di parlare, parlare e ancora parlare, il Pd agisca e faccia quello di cui parla: si dimettano» — attacca Pdl Paolo Valentini. «Aspettiamo le loro dimissioni poi votiamo subito il 2 ottobre le surroghe» — aggiunge il suo collega del Carroccio Stefano Galli.
Se non si dimettessero la maggioranza dei consiglieri regionali, infatti, al loro posto arriverebbero i primi candidati non eletti. Ma Daniela Santanchè rompe il fronte del Pdl: «Io al posto di Formigoni mi sarei dimessa — taglia corto — Per un politico il tribunale di riferimento è quello dell’opinione pubblica, che si è già espresso. Tra il potere e l’onore io scelgo il secondo».
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«Un sondaggio ucraino dà a Berlusconi il 122% dei voti». Campasse cento anni, Romano Prodi non si pentirà mai abbastanza della battuta sulla rimonta berlusconiana del 2006 su cui a sinistra ridacchiavano: cinque giorni dopo vinceva d’un soffio alla Camera e pareggiava al Senato restando appeso a Franco Turigliatto. Il saggio maitre-à -penser Giùan Trapattoni da Cusano Milanino l’aveva detto: «Non dire gatto se non l’hai nel sacco».